Un altro giro di vite ai diritti delle persone Lgbtq in Russia. Ieri il presidente Vladimir Putin ha firmato la legge che mette al bando gli interventi chirurgici e le terapie ormonali per il “cambio di sesso”. Un provvedimento che, secondo il capo del Cremlino, mira a tutelare i “valori tradizionali” del Paese.
L’unica eccezione è concessa in caso di interventi su malformazioni congenite. La legge non si limita a rendere illegali i cambi di genere. Il testo vieta anche di apportare modifiche ai documenti personali sulla base di certificati medici. Introduce inoltre il divieto di adozione e affido di minori per le persone transgender. E annulla i matrimoni in cui uno dei due partner abbia subìto un intervento per il “cambio di sesso”.
Il provvedimento, che non ha carattere retroattivo, era stato approvato pochi giorni fa dal Consiglio della Federazione, la Camera alta del Parlamento, e meno di una settimana prima dalla Duma. La legge, sotto il titolo “Sui fondamenti della protezione della salute dei cittadini nella Federazione Russa”, era stata presentata alla fine di maggio da un gruppo di 400 deputati di diverse formazioni politiche.
Ora a mettere in allarme tanto gli attivisti Lgbtq quanto la comunità medica sono le ricadute del provvedimento. A cominciare da un aumento dei casi di suicidio. Senza contare il fiorire del mercato clandestino dei farmaci e degli interventi chirurgici. Non a caso lo stesso ministro della Sanità Mikhail Murashko durante il dibattito alla Camera bassa del Parlamento aveva invocato prudenza suggerendo di introdurre requisiti più stringenti piuttosto che un bando al “cambio di sesso”.
Il nuovo giro di vite rientra nella stretta che da tempo Mosca ha inaugurato nei confronti della comunità Lgbtq e che punta, secondo i fautori, a tutelare i “valori tradizionali”. Il mese scorso, il deputato del partito di Putin “Russia Unita” Pyotr Tolstoy aveva spiegato che la proposta di legge mirava a introdurre “una barriera alla penetrazione dell’ideologia occidentale contraria alla famiglia”.
Solo pochi mesi fa, a dicembre del 2022, Putin ha firmato la nuova legge che proibisce anche tra gli adulti la “propaganda Lgbtq”, estendendo così il provvedimento del 2013 che vieta la “propaganda” degli “atteggiamenti sessuali non tradizionali” tra i minori. Una norma che proibisce teoricamente ogni manifestazione pubblica in difesa dei diritti delle minoranze sessuali e che è stata, non a caso, bocciata dalla Corte di Strasburgo perché discriminatoria e perché lede il diritto alla libertà d’espressione. Risale al 2020 invece il bando ai matrimoni tra persone dello stesso sesso.
In Europa del resto la Russia non è sola a vietare i “cambi di sesso”. A farle compagnia ci sono Stati che certamente non possono essere considerati campioni di democrazia. A cominciare dall’Ungheria di Viktor Orban, che dal 2020 proibisce di modificare i propri documenti all’anagrafe, ultimo atto della campagna contro la comunità Lgbtq magiara.
Anche in Bulgaria il cambio di sesso è illegale. Per effetto di una sentenza della Corte di Cassazione, dallo scorso febbraio le persone transgender non possono più modificare i propri documenti anche dopo aver subìto un intervento chirurgico.
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