Vladimir Kara-Mourza, giornalista e oppositore russo condannato a 25 anni con l’accusa di alto tradimento per aver denunciato la guerra in Ucraina, è stato trasferito dal carcere di Mosca alla colonia penitenziaria di massima sicurezza IK-6 di Omsk, nel sud-ovest della Siberia, per scontare la pena. Lo ha fatto sapere su Facebook uno dei suoi legali, Vadim Prokhorov, precisando che il trasferimento risale alla scorsa settimana e che il 42enne “è stato messo subito in una cella di isolamento”.
Oggi la moglie Evgenia Kara-Murza, intervistata da Fanpage, non ha nascosto di temere per la salute del marito, già compromessa dopo due tentativi di avvelenamento: “Il rapporto con gli avvocati sarà più sporadico e sarà quindi difficile controllare le sue condizioni”.
Da Alexey Navalny a Kara Murza, “tenerli al centro dell’attenzione del mondo è l’unico modo per esser certi che rimangano in vita”, dice la donna che vive in Virginia, negli Stati Uniti, insieme ai tre figli adolescenti.
Già dichiarato “agente straniero” dalle autorità russe e poi arrestato nel 2022, Kara-Murza era stato condannato da un tribunale di Mosca a 25 anni di prigione lo scorso aprile.
L’accusa di tradimento è legata alla “diffusione di informazioni consapevolmente false sulle azioni delle forze armate russe e collaborazione con un’organizzazione indesiderabile in Russia”. La difesa del dissidente ha dichiarato di voler impugnare la sentenza in appello. “La Russia sarà libera, ditelo a tutti”, aveva urlato in aula il dissidente dopo la lettura della sua condanna.
Kara-Murza era fino a pochi mesi fa uno degli ultimi oppositori politici russi a non essere dietro le sbarre o esiliato all’estero. La sua condanna, dopo un processo a porte chiuse, è la più severa mai emessa da un tribunale russo in casi “politici”, dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina.
L’Onu ne ha chiesto il rilascio “immediato”. L’arresto del dissidente è “parte della crescente repressione delle libertà di espressione e dell’opposizione politica in Russia cominciata a partire dalla guerra contro l’Ucraina del febbraio” 2022, ha detto Mariana Katzarova, relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nella Federazione russa.
“Questa sentenza è l’ennesimo tremendo esempio della sistematica repressione in corso contro la società civile russa, che il Cremlino ha ulteriormente inasprito e accelerato dopo l’invasione dell’Ucraina. I cosiddetti ‘reati’ dei quali Kara-Murza è stato giudicato colpevole, aver condannato la guerra e aver preso le difese delle vittime di violazioni dei diritti umani, sono in realtà atti di grande coraggio”, ha commentato d’altra parte Natalia Zviagina, direttrice di Amnesty International Russia, secondo cui la sentenza è “una reminiscenza della repressione dell’era staliniana”.
Storico e giornalista, conosciuto più all’estero che in patria, collaboratore di Boris Nemtsov – altro oppositore del regime, ucciso sotto le mura del Cremlino nel 2015 – Kara-Murza è impegnato da vent’anni in politica. È stato tra i promotori in Occidente del cosiddetto Magnitsky Act, la legge approvata per la prima volta dagli Stati Uniti nel 2012, che ha consentito a Washington di sanzionare funzionari russi sospettati di violazioni dei diritti umani.
Da allora, numerosi altri Paesi hanno varato legislazioni simili, come il Regno Unito e il Canada. Secondo la moglie Eveghenia, la condanna del marito sarebbe proprio “la vendetta” di Mosca per il suo impegno sulla promozione della legge Magnitsky.
Kara-Murza proviene da una nota famiglia dissidente sovietica. Anche suo padre, il giornalista Vladimir Kara-Murza, è stato un detrattore del governo. Ha ricevuto la cittadinanza britannica quando si è trasferito nel Regno Unito da adolescente con sua madre e in seguito ha frequentato l’Università di Cambridge. Kara-Murza ha iniziato la sua carriera nel giornalismo, prima di diventare consigliere di Nemtsov. Ha vissuto a lungo negli Stati Uniti con la moglie e i figli. Avrebbe potuto restare negli Usa, ma ha scelto di tornare in Russia.
In detenzione preventiva dall’aprile 2022, Kara-Murza ha rischiato di morire due volte, nel 2015 e nel 2017, dopo due tentativi di avvelenamento che, a suo dire, portano la firma del Cremlino. Secondo il suo avvocato Prokhorov, il dissidente soffre di polineuropatia e patologie neuromuscolari, conseguenza dei due avvelenamenti. I suoi sostenitori sono preoccupati per il peggioramento della sua salute in detenzione.
L’oppositore lavorava anche per l’organizzazione Open Russia dell’ex oligarca in esilio e critico del Cremlino Mikhail Khodorkovsky, dichiarato “indesiderabile” dalle autorità russe nel 2017.
L’accusa di diffusione di “false informazioni” sull’esercito si basa su una legge introdotta in Russia dopo l’inizio dell’offensiva contro l’Ucraina, che consente di reprimere qualsiasi informazione ritenuta falsa dalle autorità, ovvero non in linea con la propaganda ufficiale.
Negli ultimi anni, quasi tutti gli oppositori russi sono stati condannati a pesanti pene detentive o hanno dovuto abbandonare il Paese. Il più noto attivista anti-corruzione, Aleksei Navalny sta scontando una pena a nove anni di carcere per frode.
Nelle sue ultime dichiarazioni in aula nell’udienza dello scorso 10 aprile, Kara-Murza – che si è sempre dichiarato innocente – si è detto “orgoglioso” del proprio impegno politico. “So anche che verrà un giorno in cui l’oscurità che ricopre il nostro Paese si dissiperà, un giorno in cui coloro che hanno istigato e iniziato questa guerra saranno chiamati criminali, non quelli che hanno cercato di fermarla”, ha detto.
La Siberia resta l’emblema della repressione politica da parte dello Stato russo. Ieri come oggi. La pratica infatti non è certo nuova. Risale al XVI secolo, al tempo degli zar, quando a finire nei temuti penitenziari erano delinquenti comuni, nemici politici e prigionieri di guerra. Era così che il governo si disfava degli indesiderati, sfruttandoli per lavorare in miniere e fabbriche e popolare quelle lande desolate.
Il sistema vero e proprio dei gulag (acronimo di “Direzione generale dei campi di lavoro correttivi”) nasce negli anni Venti dello scorso secolo, come sistema di campi di concentramento e di lavoro coatto, noto soprattutto come strumento di repressione degli oppositori politici ai tempi dell’Unione Sovietica, in particolare negli anni di Joseph Stalin.
A finire nei gulag erano i cosiddetti “nemici di classe”: dissidenti politici, kulaki (ricchi proprietari terrieri caduti in disgrazia dopo la collettivizzazione), ebrei e più in generale minoranze sociali ostili al regime.
Si stima che dal 1929 al 1953 circa 18 milioni di persone siano state recluse.
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