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Russia, Alexei Navalny si trova nel “posto più isolato al mondo”. Che fine fanno i nemici di Putin?

Dopo settimane di silenzio e apprensione per la sua sorte, Alexei Navalny torna a parlare sui social media. Lo fa dalla colonia penale di Kharp, nell’Artico russo, dove è stato trasferito. “Non preoccupatevi per me. Sto bene”, scrive su X il dissidente, nemico giurato del capo del Cremlino Vladimir Putin, condannato la scorsa estate a 19 anni di detenzione per “estremismo”.

Lo scorso 11 dicembre era stato trasferito, in gran segreto, dalla prigione vicino Mosca dove era recluso. Il viaggio della nuova struttura di detenzione sarebbe durato venti giorni. Da qui la lunga assenza che aveva preoccupato familiari e collaboratori. Un silenzio durato fino a ieri quando la portavoce Kira Iarmych ha dato la notizia: “Abbiamo trovato Navalny. È nella colonia penitenziaria numero 3 nella città di Kharp, nel distretto autonomo di Yamalo-Nenets”, ha scritto su X precisando che il suo avvocato ha potuto fargli visita.

“Putin vuole isolare Navalny in vista delle elezioni”

Quanto alle ragioni dell’ulteriore giro di vite contro l’oppositore del regime, la donna non ha dubbi: “Putin vuole isolare Alexei Navalny per ridurre la sua influenza, persino dalla prigione, in vista delle elezioni presidenziali di marzo. Il capo del Cremlino ha già annunciato che correrà per un quinto mandato.

“La colonia penale più isolata al mondo”

Il dissidente si trova nella colonia “Lupo polare”, una delle “più isolate al mondo”, ha spiegato Ivan Zhdanov, direttore della Fondazione anti corruzione di Navalny. “Le condizioni sono dure”. Il dissidente è sottoposto a un “regime speciale”, quello riservato di solito agli ergastolani e ai detenuti più pericolosi. “È quasi impossibile raggiungere questa colonia, è quasi impossibile persino inviare lettere lì”. Kharp, una piccola città di circa 5mila abitanti, nella regione di Yamalo-Nenetsia, a quasi 2mila chilometri da Mosca, si trova oltre il Circolo polare artico e ospita diverse colonie penali. È famigerata per gli inverni lunghi e estremamente rigidi.

Vladimir Kara-Murza | Foto ANSA/ Facebook/Vadim Prokhorov – Newsby.it

Dai “suicidi” agli avvelenamenti: che fine fanno i nemici di Putin

Navalny è solo l’ultimo nemico finito nel mirino di Vladimir Putin. Agli oppositori del Cremlino è riservata la medesima sorte. In un modo o nell’altro il regime si sbarazza di loro: dagli avvelenamenti ai “suicidi”, dagli omicidi alle misteriose scomparse, passando per i processi montati ad arte fino all’esilio auto imposto.

Vladimir Kara-Murza

Come Navalny, è finito in una colonia penitenziaria di massima sicurezza anche Vladimir Kara-Mourza, giornalista e oppositore russo condannato a 25 anni con l’accusa di alto tradimento per aver condannato la guerra in Ucraina. Lo scorso settembre il 42enne è stato trasferito dal carcere di Mosca alla colonia IK-6 di Omsk, nel sud-ovest della Siberia e “messo subito in una cella di isolamento”, ha detto uno dei suoi legali, Vadim Prokhorov. Kara-Murza è stato collaboratore di Boris Nemtsov , altro oppositore eliminato dal regime, e tra i promotori in Occidente del cosiddetto Magnitsky Act, la legge approvata per la prima volta dagli Stati Uniti nel 2012, che ha consentito a Washington di sanzionare funzionari russi sospettati di violazioni dei diritti umani.

Evgney Prigozhin

Appena un mese prima, il 24 agosto, era toccato a Evgney Progozhin, il capo della brigata Wagner, morto dopo che il jet su cui viaggiava si è schiantato tra Mosca e San Pietroburgo. Epilogo inevitabile dopo la fallita “marcia” su Mosca dello scorso 24 giugno. Mentre sul mandante restano pochi dubbi, sugli esecutori materiali e sulla dinamica dell’incidente ancora non è stata fatta luce. Secondo un’inchiesta del Wall Street Journal pubblicata pochi giorni fa, sarebbe stato Nikolaj Patrushev, capo del Consiglio di sicurezza russo, a far piazzare una bomba a bordo del velivolo, col placet di Putin. Una ricostruzione smentita seccamente dal portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov.

Sergei e Yulia Skripal

Tra i modi per eliminare i nemici, il Cremlino negli anni ha prediletto l’avvelenamento. Una carta che il regime aveva tentato nel 2020 anche con Navalny ma senza successo. Se la sono cavata anche Sergei Skripal, agente dell’intelligence militare russa, e sua figlia Yulia, intossicati nel marzo del 2018 con il novichok, un agente nervino. Trovati riversi su una panchina della città britannica di Salisbury, entrambi sono guariti dopo un lungo ricovero in terapia intensiva.

Boris Nemtsov

È stata una morte violenta e spettacolare invece quella toccata a Boris Nemtsov, ex vice primo ministro, freddato nel 2015 a colpi di pistola a pochi passi dal Cremlino. Il prezzo per aver condannato l’annessione unilaterale della Crimea nel 2014.

Anna Politkovskaya | Foto Das blaue Sofa / Club Bertelsmann – CC BY 2.0 DEED (Creative Commons Attribution 2.0)

Boris Berezovsky

È catalogabile alla voce “suicidio” il caso dell’ex oligarca Boris Berezovsky, trovato impiccato nel 2013 nella sua casa di Sunninghill, nel Regno Unito, dove era riparato in esilio dopo la rottura con il Cremlino. L’inchiesta della magistratura britannica non ha saputo arrivare a conclusioni univoche.

Anna Politkovskaya

Nella lista non mancano i giornalisti. Il nome di Anna Politkovskaya resta legato in modo indissolubile alla Cecenia e alle sue inchieste sulla “Russia di Putin”. La reporter di Novaya Gazeta ha pagato a caro prezzo l’opposizione al regime. Il 7 ottobre del 2006, nel giorno del compleanno del presidente, è stata freddata di fronte alla porta del suo appartamento a Mosca. A distanza di 17 anni i mandanti non sono mai stati identificati, anche se gli oppositori del Cremlino puntano il dito contro il presidente ceceno Ramzan Kadyrov. Non solo. Lo scorso novembre Sergej Chadžikurbanov, ex poliziotto russo condannato a vent’anni di prigione come esecutore dell’omicidio, ha ottenuto la grazia da Putin come ricompensa per essersi arruolato nell’esercito russo e aver combattuto in Ucraina.

Dall’inizio degli anni 2000 il giornale indipendente fondato nel 1993 da Mikhail Gorbaciov ha pianto la morte di sei tra giornalisti e collaboratori. Dopo Politkovskaya il Cremlino ha silenziato anche un’altra reporter, Anastasia Baburova, assassinata nel gennaio 2009 a Mosca insieme all’avvocato difensore dei diritti umani Stanislav Markelov. Sempre a colpi di arma da fuoco è stata assassinata Natalia Estemirova della storica organizzazione per i diritti umani Memorial, nel 2021 costretta a chiudere i battenti in base alla controversa legge sugli “agenti stranieri”. Stessa sorte è toccata a Novaja Gazeta, costretta nel marzo del 2022 a sospendere le pubblicazioni. Lo scorso settembre nelle maglie della legge è finito anche il direttore del giornale, e vincitore nel 2021 del premio Nobel per la pace, Dmitry Muratov.

Alexander Litvinenko

La morte dell’ex agente dei servizi russi dell’Fsb, diventato cittadino britannico e oppositore del presidente russo, Alexander Litvinenko, è legata a doppio filo a quella di Anna Politkovskaya. Da Londra, dove era fuggito nel 2000, ha accusato il Cremlino della morte della giornalista. Il primo novembre del 2006 il dissidente si è ammalato improvvisamente e nel giro di venti giorni è morto. Causa del decesso: avvelenamento da polonio. La sostanza radioattiva sarebbe stata messa nella sua tazza di tè da due russi durante un incontro in un albergo nella capitale britannica.

Mikhail Khodorkovsky

Vive in auto-esilio a Londra da oltre dieci anni, Mikhail Khodorkovsky, ex oligarca patron del colosso petrolifero Yukos e storico nemico del presidente russo. Passato dall’essere uno dei petrolieri più potenti al mondo a cucire guanti di cuoio in una colonia penale a Krasnokamensk, in Sibera. Condannato per frode fiscale nel 2005, è stato liberato nel 2013 in seguito a un’amnistia.

Federica Giovannetti

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