Più del 78% degli elettori russi (che hanno votato) ha appoggiato le riforme costituzionali volute dal presidente Vladimir Putin, che prevedono tra le altre cose la possibilità per lui di rimanere al potere fino al 2036. Il referendum si è svolto nel giro di sette giorni nonostante i rischi provocati dalla pandemia da Ccoronavirus, con un’affluenza di più del 64%. Il risultato era ampiamente atteso, ma diversi esponenti dell’opposizione russa hanno parlato di irregolarità nel voto e della mancanza di regole chiare che garantissero la trasparenza del processo elettorale.
Putin ha quasi 68 anni ed è stato al potere in Russia, o come primo ministro o come presidente, negli ultimi 20. Fin dall’inizio il referendum è stato visto come un modo trovato da Putin per consolidare il suo potere e la sua idea di Russia. Le modifiche introdotte dal referendum riguardano una decina di articoli della Costituzione. Oltre a quelli relativi alle istituzioni e al welfare, ce ne sono alcuni che sono stati elaborati per rafforzare l’impianto conservatore del Paese: per esempio sono stati vietati i matrimoni tra persone dello stesso sesso ed è stato introdotto un riferimento alla ancestrale “fede in Dio” della Russia.
Alexei Navalny, il principale e più noto oppositore di Putin, ha definito i risultati del referendum una “grande bugia”, dicendo che non riflettono la reale opinione pubblica in Russia. Golos, organizzazione indipendente che si occupa di monitorare le elezioni, ha descritto il processo elettorale come “manipolato” fin dall’inizio, a causa soprattutto della parzialità della stragrande maggioranza dei media russi e delle molte pressioni sugli elettori compiute da una serie di compagnie e organizzazioni finanziate da organi statali.
La vittoria per Putin non era mai stata in discussione, ma la cosa su cui si sono concentrati diversi esperti è stata un’altra. Andrew Higgins, giornalista che si occupa di Russia, ha scritto sul New York Times che non è chiaro il motivo per cui Putin abbia avuto bisogno di un referendum, considerato che le modifiche costituzionali erano già state ratificate dal Parlamento russo e dagli organi regionali competenti, e che erano già entrate in vigore mesi fa. Secondo Greg Yudin, sociologo e teorico politico all’Università di Mosca delle Scienze economiche e sociali, il referendum “non è stato per niente un processo senza significato”, perché il sistema russo sotto Putin è sempre dipeso fortemente dall’apparente appoggio pubblico in grado di dare legittimità alle decisioni del presidente: “È un teatro, ma un teatro molto importante e ben fatto. Il sistema ha bisogno di mettere in scena l’appoggio pubblico anche quando non ce l’ha”.
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