Nelle prime ore della giornata di mercoledì 11 maggio è arrivato il primo stop ai flussi di gas verso l’Europa. A deciderlo, però, non è stata Gazprom. Il gestore del sistema di trasporto di Gas dell’Ucraina (GTSOU) ha infatti annunciato che, a causa dell’occupazione del Donbass, il punto di ingresso di Sokhranivka si bloccherà. Ferma anche la stazione di compressione di confine (CS) Novopskov sul gasdotto Soyuz. Occupata ora da russi e separatisti, da questa rotta passano 32,6 milioni di metri cubi di gas destinato all’Europa ogni giorno. I flussi, ha fatto sapere il gestore, potrebbero essere reindirizzati a Sudzha, in Russia. Ma Mosca ha già avvertito che è impossibile spostare tutti i volumi e che non ci sono pericoli che consigliano di farlo.
Quel punto di transito è strategico perché serve Slovacchia, Ungheria, Austria, Romania e Italia. Il tracciato passa attraverso Lugansk. Nella nota l’operatore spiega che le cause di forza maggiore che costringono a chiudere l’impianto è proprio l’occupazione russa della stazione di compressione, che porta anche al ritiro non autorizzato di gas dal flusso di transito. La compagnia Gtsou, secondo il comunicato, ha ripetutamente informato Gazprom delle difficoltà del transito causate dalle azioni delle forze di occupazione russe. Ha chiesto la fine delle interferenze nel funzionamento delle strutture. Ma questi appelli sono stati ignorati.
Il totale delle consegne russe attraverso l’Ucraina a marzo ha raggiunto i 110 milioni di metri cubi al giorno, in linea con gli obblighi contrattuali di Gazprom nell’ambito dell’accordo di transito quinquennale con il Paese invaso firmato a dicembre 2019. Tutto questo nonostante i volumi di transito siano diminuiti ad aprile. Nel 2021 Gazprom ha consegnato 41,6 miliardi di metri cubi di gas attraverso l’Ucraina. Secondo alcuni operatori del settore si potrebbero individuare ulteriori alternative per mantenere inalterata la fornitura. Del resto nei contratti con Eni non vengono indicati i punti di transito.
Nel frattempo, i Paesi europei proseguono in ordine sparso nella corsa per distaccarsi dal metano di Putin. I dati dicono che dei 28,9 miliardi di metri cubi di gas importati nel 2021 dalla Russia, pari al 38% del fabbisogno, due terzi sono già virtualmente recuperati. Ma la strada per l’indipendenza è ancora lunga, con il ministro Cingolani scommette sul 2024. Secondo lo schema approntato da Palazzo Chigi, l’Algeria fornirà 5 miliardi di metri cubi di gas in più a partire da giugno. E potrebbe arrivare a 9 nel 2023 superando i 30 miliardi in totale. Gli acquisti dall’Egitto saranno limitati, per motivi di opportunità, a 1 miliardo di metri cubi.
Dal giacimento offshore di Zohr ne potrebbero arrivare subito 3. L’Azerbaijan rafforzerà l’influsso nel gasdotto Tap da 7,2 a 9,1 miliardi. Ma le potenzialità dei giacimenti del Mar Caspio sarebbero ben altre una volta chiarite le controversie con la Turchia. Si attende il Qatar, proprietario in parte del rigassificatore di Rovigo, mentre in gioco c’è anche l’aumento della produzione nazionale da 3 a 4 miliardi di metri cubi. Oltre all’abbassamento dei termosifoni, allo sblocco delle rinnovabili e al ricorso al carbone.
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