Questa struttura carceraria, operativa dal 1972, è diventata un luogo di detenzione per oppositori politici, giornalisti e cittadini stranieri
La prigione di Evin, situata a Teheran, è conosciuta in tutto il mondo come un simbolo di repressione e violazione dei diritti umani. Questa struttura carceraria, operativa dal 1972, è diventata un luogo di detenzione per oppositori politici, giornalisti e cittadini stranieri. La sua notorietà è cresciuta a dismisura dopo la Rivoluzione islamica del 1979, quando il regime degli ayatollah ha intensificato la sorveglianza e la repressione contro qualsiasi forma di dissenso. La detenzione della giornalista italiana Cecilia Sala, avvenuta oltre una settimana fa, ha riacceso l’attenzione su questo temuto carcere e sulle condizioni disumane in cui i prigionieri sono costretti a vivere.
Cecilia Sala è stata arrestata nel contesto di un clima di crescente tensione in Iran, dove le voci critiche nei confronti del regime sono spesso silenziate con la forza. La prigione di Evin è divisa in diverse sezioni: due per i detenuti maschi e una per le donne. Le condizioni di vita all’interno del carcere sono estremamente dure; i prigionieri possono trovarsi in celle sovraffollate, con scarse condizioni igieniche, o in celle di isolamento, anguste e prive di luce naturale. Cecilia, in particolare, è stata collocata in una cella di isolamento sin dal suo arresto, una situazione che è stata descritta da ex detenuti come una vera e propria tortura psicologica e fisica.
Una volta arrestata, Cecilia ha avuto accesso a due brevi telefonate, una con la sua famiglia e l’altra con il compagno, Daniele Raineri, anch’esso giornalista.
Solo dopo una settimana, ha avuto la possibilità di incontrare l’ambasciatrice italiana in Iran, Paola Amadei. Durante questo incontro, le autorità iraniane hanno supervisionato la conversazione, un chiaro segno della mancanza di privacy e libertà che caratterizza la vita all’interno del carcere di Evin.
Le esperienze di ex detenuti parlano di orrori che sembrano inverosimili. Anoosheh Ashoori, un imprenditore britannico-iraniano che ha trascorso quattro anni in isolamento, ha descritto la sua cella come una stanza di circa otto metri quadrati, sempre illuminata, rendendo impossibile un sonno decente. Le sue testimonianze, come quelle di altri ex prigionieri, rivelano condizioni inaccettabili: cibo scarso e di bassa qualità, scarsa igiene e, in alcuni casi, malattie derivanti da infezioni contratte all’interno della prigione. Nizar Zakka, un imprenditore libanese, ha raccontato di come le celle di isolamento siano prive di qualsiasi comodità, con solo un tappeto e una coperta per affrontare il freddo.
Il carcere di Evin ha visto un affollamento senza precedenti durante le ondate di proteste che hanno seguito la morte di Mahsa Amini, una giovane donna arrestata per aver indossato in modo inappropriato il velo islamico. Le manifestazioni sono state represse con violenza, portando a migliaia di arresti e a centinaia di morti tra i manifestanti. In questo contesto, la prigione di Evin ha visto un numero crescente di detenuti politici, tra cui cittadini stranieri e giornalisti, come Cecilia Sala.
La storia della prigione di Evin è segnata da eventi drammatici e tragici. Nel 2003, la fotografa iraniano-canadese Zahra Kazemi fu arrestata per aver scattato foto all’ingresso del carcere; morì 19 giorni dopo, ufficialmente per cause naturali, ma le circostanze della sua morte rimasero avvolte nel mistero e nei sospetti di tortura. La prigione ha una capacità teorica di circa 15.000 persone, ma le condizioni di vita sono così anguste e disumane che le organizzazioni per i diritti umani spesso denunciano violazioni sistematiche e torture.
Tra i detenuti attuali ci sono figure di spicco come Narges Mohammadi, vincitrice del Nobel per la Pace nel 2023, e Ahmadreza Djalali, uno scienziato svedese-iraniano condannato per spionaggio. La presenza di attivisti e giornalisti di fama internazionale all’interno di Evin sottolinea il clima di repressione che il regime iraniano esercita nei confronti di chi osa opporsi al potere.
Cecilia Sala, come molti altri, è un simbolo della lotta per la libertà di espressione e per i diritti umani in un paese dove la censura e la repressione sono all’ordine del giorno. La sua detenzione non è solo una questione personale; rappresenta una battaglia più ampia contro un regime che continua a violare i diritti dei suoi cittadini e di chiunque critichi le sue politiche. La storia di Evin è, in questo senso, una storia di sofferenza, ma anche di resilienza, di un desiderio di libertà che continua a farsi sentire nonostante le oppressioni.
Per approfondire: La giornalista Cecilia Sala è stata arrestata in Iran
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