Patrick Zaki è in carcere esattamente da un anno e mezzo. Da 18 mesi, dunque, lo studente e ricercatore egiziano dell’Università di Bologna dorme per terra in un’affollata cella del carcere di Tora, alla periferia del Cairo. Eppure, nonostante le pressioni dell’opinione pubblica, le porte della prigione non si aprono. Intanto, continua il monitoraggio processuale dell’Ue, trainata dall’Italia, che con il voto del Parlamento ha concesso a Zaki la cittadinanza italiana.
Alla vigilia della ricorrenza Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ha ricordato che “Patrick Zaki sta arrivando al diciottesimo mese di detenzione illegale, arbitraria, senza processo e senza possibilità di difendersi”. Ma la mobilitazione in suo favore continua. Nelle ultime ore gli attivisti che si battono per lui hanno sottolineato che “tra un inverno freddo e un’estate molto calda, Patrick soffre nella sua cella con risorse quasi inesistenti e condizioni di detenzione disumane”.
Patrick Zaki, dall’arresto a oggi
Lo studente 30enne finisce in manette in circostanze controverse l’8 febbraio 2020 e da allora si trova in detenzione preventiva. Le accuse nei suoi confronti sono di “incitamento alla protesta” e “istigazione a crimini terroristici”. Secondo la magistratura egiziana, Zaki avrebbe messo in atto una propaganda sovversiva attraverso una decina di post pubblicati da un account Facebook. Account che la sua difesa considera falso.
Secondo Amnesty, rischia fino a 25 anni di carcere. Ma il problema principale riguarda la sua detenzione preventiva al Cairo, che sembra protrarsi fino a data da destinarsi. La custodia cautelare in Egitto può infatti durare due anni, ma se durante le indagini subentrano nuovi capi d’accusa le autorità possono prolungarla ulteriormente. Ne è un esempio lo sciopero della fame iniziato di recente dalla figlia di un predicatore islamico in carcere senza processo da quattro anni.
“In cella per le sue idee politiche”
Dopo una prima fase di cinque mesi di rinnovi quindicinali ritardati dall’emergenza Covid, ora il caso di Patrick è in quella dei prolungamenti di 45 giorni. Zaki ha potuto incontrare solo brevemente la madre il 25 agosto di un anno fa. La famiglia e la fidanzata, denuncia sempre Amnesty, nel frattempo hanno ricevuto solo alcune delle almeno venti lettere che il ricercatore ha scritto e spedito.
Il rinnovo più recente della carcerazione è stato ordinato a metà del mese scorso. La prospettiva più concreta è dunque che il 30enne egiziano rischi di passare in cella anche la seconda metà di agosto. “Riteniamo che Patrick George Zaki – si legge sul sito di Amnesty – sia un prigioniero di coscienza detenuto esclusivamente per il suo lavoro in favore dei diritti umani e per le opinioni politiche espresse sui social media”.