In Pakistan è stata approvata una legislazione antistupro che mira ad accelerare le condanne e imporre condanne più dure. Come la castrazione chimica.
La decisione è arrivata in risposta a una protesta pubblica di massa per una recente ondata di stupri contro donne e bambini nel Paese. Unita alle crescenti richieste di garantire giustizia alle vittime di aggressioni sessuali. Meno del 3% dei casi di aggressione sessuale o stupro si traduce in una condanna in Pakistan, secondo quanto riportato da Reuters.
Il disegno di legge afferma che il governo del Pakistan deve istituire tribunali speciali a livello nazionale per accelerare i processi di stupro e garantire che i casi di abuso sessuale siano decisi “rapidamente, preferibilmente entro quattro mesi“.
Per fare un paragone, in Italia, l’intervallo medio di tempo tra la data del reato e la sentenza, nel primo grado, è di 32 e 46 mesi rispettivamente per la violenza sessuale e la violenza sessuale di gruppo.
La castrazione chimica, ovvero l’uso di droghe per ridurre la libido o l’attività sessuale è già una forma legale di punizione in paesi come Corea del Sud, Polonia, Repubblica Ceca e in alcuni stati USA.
Amnesty International ha affermato che la pena della castrazione chimica era “crudele e disumana”.
“Invece di cercare di distogliere l’attenzione, le autorità dovrebbero concentrarsi sul lavoro cruciale delle riforme che affronteranno le cause profonde della violenza sessuale. In grado di dare alle sopravvissute la giustizia che meritano“, ha affermato Amnesty.
In Pakistan vengono segnalati una media di 11 casi di violenza ogni giorno, 22mila negli ultimi 6 anni, secondo i dati di Human Right Pakistan.
Anche l’Italia registra gli stessi numeri. Secondo l’Osservatorio dei diritti umani, nel 2021 è stata segnalata una violenza ogni 130 minuti, per una media di 11 tra abusi taciuti e stupri. Più di 300 ogni mese.
Considerato però che in Pakistan vivono circa 220 milioni di persone, quasi 4 volte più che in Italia, la situazione nel nostro Paese è ben più drammatica.
In Italia, poco più del 30% dei colpevoli vengono effettivamente condannati.
Ma anche le condanne in Italia per violenza, possono essere di diversa entità.
La normativa italiana sulle violenze sessuali presenta alcune differenze rispetto a quanto previsto negli altri principali Paesi europei. In particolare non c’è distinzione tra lo stupro e le altre violenze sessuali, come succede invece in Francia, Spagna e Regno Unito.
L’articolo 609 bis c.p. prevede la pena della reclusione dai 6 ai 12 anni per chi “con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali”. Gli articoli successivi prevedono una serie di aggravanti, quali la minore età della vittima, lo stato di gravidanza, l’uso di armi o di alcol che possono portare la pena fino a un massimo di 24 anni. Tuttavia, il terzo comma dell’articolo 609 bis c.p. prevede che «nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi».
Dunque, se il caso di violenza sessuale è ritenuto poco grave dal giudice, la pena può essere di due anni. In questo caso è possibile che, a determinate condizioni, il giudice applichi la sospensione condizionale della pena.
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