Con il golpe che lo scorso 26 luglio ha esautorato il presidente Mohamed Bazoum e portato alla guida del Niger la giunta militare del generale Abdourahamane Tchiani, l’Occidente rischia di perdere l’ultimo alleato affidabile nella regione del Sahel sul fronte della lotta al terrorismo di matrice islamica. Parallelamente il colpo di Stato potrebbe spalancare le porte alla Russia e alle milizie della Wagner, analogamente a quanto accaduto di recente in Mali e in Burkina Faso.
L’arresto di Bazoum, il primo presidente eletto democraticamente dopo l’indipendenza dalla Francia nel 1960, non a caso ha messo in grande allarme tutte le cancellerie europee, a cominciare da Parigi, che ha fatto sapere di aver sospeso con effetto immediato tutti gli aiuti allo sviluppo e il sostegno al bilancio.
Anche l’Unione europea, per bocca dell’Alto rappresentante per gli affari esteri Ue Josep Borrell, ha annunciato lo stop “a tempo indeterminato e con effetto immediato di ogni aiuto economico e di ogni azione di cooperazione con il Paese”. Allo stesso modo, gli Stati Uniti hanno chiuso il rubinetto degli aiuti. Tutti chiedono la liberazione immediata del presidente, tenuto prigioniero da mercoledì nella sua residenza ufficiale.
Considerato un baluardo di stabilità nella regione, il Paese ospita basi militari francesi e statunitensi mentre Italia e Canada addestrano sul territorio le forze speciali nigerine.
L’Ecowas, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, ha già ordinato un blocco economico con la sospensione “immediata” di “tutte le transazioni commerciali e finanziarie” nel Paese. E minaccia l’intervento militare contro la giunta se entro una settimana non verrà reintegrato il presidente destituito.
I golpisti, con un messaggio trasmesso nella notte in televisione, hanno giustificato il colpo di Stato puntando il dito contro “il continuo deterioramento della sicurezza e il malgoverno dell’economia e della società”.
Secondo alcuni analisti, all’origine del putsch ci sarebbe una lotta di potere intestina. Alla vigilia del golpe infatti Bazoum era in procinto di sostituire Tchiani, a capo della guardia presidenziale dal 2011 e fedele del precedente presidente, Mahamadou Issoufou.
Altri invece intravedono dietro al golpe la mano della Russia, come in un film già visto di recente in Mali e in Burkina Faso.
Come già accaduto a Bamako e Ouagadougou, per le strade di Niamey sono comparsi cartelli che inneggiavano alla Russia. Al grido di “Viva Putin” e “Abbasso la Francia“, ieri migliaia di persone hanno marciato fino all’ambasciata francese per chiedere il ritiro delle 1.500 truppe di Parigi. Alcuni hanno tentato di irrompere nell’edificio. Altri hanno strappato la targa prima di calpestarla e sostituirla con bandiere russe e nigerine.
Una prova per alcuni osservatori del ruolo giocato da Mosca e della volontà del gruppo Wagner di allargare la propria influenza nella regione del Sahel. Solo pochi giorni fa Evgenij Prigozhin, il capo della compagna paramilitare, ha salutato il putsch con un messaggio audio: “Quello che è successo in Niger non è altro che la lotta del popolo nigerino contro i colonizzatori, che cercano di imporre le loro regole di vita”.
Oltreché alleato contro il jihadismo, l’Unione europea ha contato finora sul Niger per arginare i flussi migratori che dall’Africa attraversano il Paese per raggiungere le coste del Mediterraneo. Solo tra il 2017 e il 2020 l’Ue ha versato nelle casse del Paese oltre un miliardo di dollari, di cui un quarto destinato al controllo delle frontiere, con la chiusura della rotta di Agadez, in mezzo al deserto, e la militarizzazione del confine con la Libia.
Il Niger, tra i Paesi più poveri al mondo, custodisce nel proprio sottosuolo ingenti risorse naturali. A cominciare dall’uranio, di cui è uno dei maggiori produttori a livello mondiale. La Francia importa il 15% del proprio fabbisogno dal Paese. Una cifra che nel caso dell’Unione europea sale al 20%.
Accanto all’uranio indispensabile per alimentare le centrali nucleari, a far gola sono anche i giacimenti di petrolio, gas naturale, diamanti e metalli preziosi come l’oro.
Quello guidato da Tchiani è solo l’ultimo di una crescente lista di regime militari che si sono formati di recente nella regione del Sahel. Dal Mali al Burkina Faso passando per Sudan e Chad.
Si può far risalire l’origine dell’instabilità nell’area alla caduta del leader libico Muammar Gaddafi nel 2011. La fine del regime del colonnello ha causato la frantumazione del Paese e precipitato nel caos l’intera regione, da tempo preda di milizie, gruppi armati e mercenari. Così Mali, Burkina Faso e Niger sono diventati l’epicentro di un conflitto brutale.
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