Lo sharenting è una pratica ormai molto diffusa. Si tratta di un neologismo, coniato negli Stati Uniti, che definisce l’atto di pubblicare immagini dei propri figli minorenni sui social e in Rete. Lo fanno tutti o quasi. Si parte dall’ecografia, passando alle prime foto che testimoniano il ritorno a casa. E ancora, momenti di vita scolastica, sport, compleanni e via così. Questa pratica, che può sembrare innocua, nasconde in realtà diverse criticità di cui un genitore dovrebbe tenere conto. Ne ha parlato la Società Italiana di Pediatria in una sua ricerca.
L’indagine della Sip traccia in primis un quadro dettagliato del fenomeno. Secondo i dati raccolti, ogni anno i genitori condividono online una media di 300 foto riguardanti i propri figli e prima del quinto compleanno ne hanno già condivise quasi 1.000. Le prime tre destinazioni di queste foto sono Facebook (54%), Instagram (16%) e Twitter (12%). In media l’81% dei bambini che vive nei paesi occidentali ha una qualche presenza online prima dei 2 anni, percentuale che negli Usa è pari al 92%, mentre in Europa si attesta al 73%. Dati recenti mostrano che entro poche settimane dalla nascita, il 33% dei bambini ha proprie foto e informazioni pubblicate online.
Queste immagini non sono semplici fotografie: contengono moltissime informazioni sul soggetto fotografato. I suoi anni, la scuola che frequenta, lo sport che pratica e così via. Informazioni personali che possono esporre i bambini e le loro famiglie a dei rischi. Non a caso, in Francia è in discussione in Parlamento una proposta di legge che vorrebbe limitare la condivisione di foto dei figli online. Per quanto riguarda l’Italia, invece, la Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza Carla Garlatti ha sollecitato per lo sharenting l’applicabilità delle disposizioni in materia di cyberbullismo, che consentono ai minorenni di chiedere direttamente la rimozione dei contenuti.
“Non va sottovalutato però che questa pratica può associarsi ad una serie di problematiche che principalmente ricadono sui bambini – spiega Pietro Ferrara, professore responsabile del gruppo di studio Sip – Spesso, infatti, i genitori non pensano che quanto condiviso sui social media, a volte anche molto personale e dettagliato, esponga pericolosamente i bimbi ad una serie di rischi, primo fra tutti il furto di identità. Senza contare che informazioni intime e personali, che dovrebbero rimanere private, oltre al rischio di venire impropriamente utilizzate da altri, possono essere causa di imbarazzo per il bambino una volta divenuto adulto (ad esempio in colloqui di lavoro, test di ammissione all’università). Infine, questo tipo di condivisione da parte dei genitori può inavvertitamente togliere ai bambini il loro diritto a determinare la propria identità“.
Tra i rischi della condivisione social di contenuti privati, aggiunge la Sip nel suo documento, c’è anche quello che questi finiscano su siti pedopornografici: un’indagine condotta dall’eSafety Commission australiana ha evidenziato come circa il 50% del materiale presente su questi siti provenga dai social media dove era stato precedentemente condiviso da utenti per lo più inconsapevoli di quanto facilmente potesse essere scaricato, non solo da amici, ma anche da estranei.
Sempre la Sip, per andare incontro alle esigenze e ai dubbi dei genitori, ha redatto un elenco di cinque punti su come comportarsi nell’ambito dello sharenting:
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