Lotta alla crisi climatica, quali Paesi si impegnano di più?

Quello che emerge dal rapporto è che nessuno Stato sta cercando davvero di dire addio alle fossili allineandosi agli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Nemmeno i Paesi che hanno ricevuto le performance migliori sono riusciti a raggiungere gli standard minimi per contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1,5°C

Quali sono i Paesi che si impegnano di più nella lotta alla crisi climatica? A dirci come si comportano i principali Paesi del mondo è il rapporto annuale “The Climate Change Performance Index 2024: Results” (CCPI 2025) di Germanwatch, Climate Action Network International (CAN) e NewClimate Institute, in collaborazione con Legambiente per l’Italia. Il Ccpi 2025 ha analizzato complessivamente 63 paesi, ai quali si aggiunge l’Unione europea nel suo complesso. Le nazioni in questione coprono circa il 90 per cento delle emissioni globali di gas ad effetto serra. A emergere è un dato importante, ovvero che non c’è ancora un vero impegno per uscire dalle fonti fossili, nonostante la rapida crescita delle rinnovabili.

Cos’è il CCPI

Il Climate Change Performance Index (CCPI) è “uno strumento per consentire la trasparenza nelle politiche climatiche nazionali e internazionali”.

Inquinamento
Inquinamento | pixabay @marcinjozwiak – Newsby.it

“Il CCPI utilizza un quadro standardizzato per confrontare le prestazioni climatiche di 63 paesi e dell’UE, che insieme rappresentano oltre il 90% delle emissioni globali di gas serra. Le prestazioni di mitigazione del clima sono valutate in quattro categorie: emissioni di gas serra, energia rinnovabile, uso dell’energia e politica climatica”, si legge nel sito ufficiale.

I 20 Paesi che si impegnano di più nella lotta alla crisi climatica

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  4. Danimarca,Si tratta dell’unico paese ad ottenere punteggi elevati nella valutazione delle politiche climatiche”, spiega il rapporto.
  5. Paesi Bassi,
  6. Regno Unito,
  7. Filippine,
  8. Marocco,
  9. Norvegia,
  10. India,
  11. Svezia,
  12. Chile,
  13. Lussemburgo,
  14. Estonia,
  15. Portogallo,
  16. Germania,
  17. Unione Europea (27),
  18. Lituania,
  19. Spagna,
  20. Egitto.

Perché i primi tre posti della classifica sono vuoti?

Quello che emerge dal rapporto è che nessuno Stato sta cercando davvero di dire addio alle fossili allineandosi agli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Nemmeno i Paesi che hanno ricevuto le performance migliori sono riusciti a raggiungere gli standard minimi per contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1,5°C. Questa constatazione conferma che i trend sono considerati ancora come “bassi” e “molto bassi” in addirittura 29 nazioni. Per questo motivo è stato deciso che simbolicamente i primi tre posti della classifica sarebbero rimasti vuoti.

Jan Burck di Germanwatch e autore del CCPI, sottolinea che “Gran parte del mondo ha riconosciuto che le energie rinnovabili sono una scelta conveniente e sicura per l’approvvigionamento energetico. Le energie rinnovabili sono in corsia di sorpasso, soprattutto nel settore elettrico. Inoltre, c’è una crescente elettrificazione dei settori della mobilità, residenziale e industriale. La tendenza all’elettrificazione continua, mentre contemporaneamente si stanno sviluppando nuove tecnologie di stoccaggio. Tuttavia, c’è ancora una massiccia resistenza da parte della lobby dei combustibili fossili. I paesi non dovrebbero cadere ancora più in profondità nella trappola dei combustibili fossili“.

Niklas Höhne del NewClimate Institute aggiunge: “Il mondo è a un punto di svolta. Il picco delle emissioni globali è vicino. Ora è fondamentale che iniziamo un rapido declino. Ridurre drasticamente le emissioni è l’unica misura che può prevenire ulteriori pericolose conseguenze del cambiamento climatico. Il tempo stringe e abbiamo urgente bisogno di un’inversione di tendenza delle emissioni. Soprattutto con il nuovo presidente degli Stati Uniti, Trump, ora abbiamo bisogno di una forte leadership da parte dell’Ue e dei suoi stati membri come la Germania, nonostante la crescente polarizzazione politica“.

Dove si posiziona l’Italia?

Il rapporto pone l’Italia in 43esima posizione, confermandosi anche nel 2024 nella parte bassa della classifica. L’indice spiega che “sono state autorizzate nuovi progetti di gas fossile e il potenziale di energia rinnovabile nazionale non è stato raggiunto”. “L’Italia, rispetto agli altri Paesi del Pianeta e dell’Ue, continua ad essere in forte ritardo sulle performance climatiche. Sul risultato ottenuto dalla Penisola continuano a pesare il rallentamento della riduzione delle emissioni climalteranti (38° posto della specifica classifica) e una politica climatica nazionale (55° posto della specifica classifica) fortemente inadeguata a fronteggiare l’emergenza climatica con un PIENC poco ambizioso“, dichiara Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente.

Il rapporto evidenzia le principali richieste degli esperti, ovvero il mantenimento di una data più ambiziosa per l’eliminazione graduale del carbone e di fermare l’espansione dell’estrazione di combustibili fossili e delle relative infrastrutture, nonché il raggiungimento di una riduzione delle emissioni dell’intera economia di oltre il 65% entro il 2030, per essere in linea con l’obiettivo di 1,5°C di temperatura fissato a Parigi.

Il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani, ha commentato: “L’Italia sul fronte energetico continua ad avere una visione miope che non riduce le bollette pagate da famiglie e imprese, e che crea anche nuove dipendenze energetiche dall’estero, da Paesi sempre più instabili politicamente. Intanto la crisi climatica accelera il passo, gli eventi meteo estremi nella Penisola sono sempre più frequenti e con impatti pesanti anche sul mondo produttivo e dell’agricoltura, che avrebbero tutto l’interesse a promuovere politiche coraggiose per la riduzione delle emissioni climalteranti, come previsto dal Green Deal europeo”.

“Se l’Italia vuole davvero voltare pagina e risalire anche la classifica delle performance climatiche, deve compiere un deciso cambio di passo con politiche climatiche più ambiziose e interventi decisi, anche nel settore della mobilità e dell’edilizia. Il nostro Paese può colmare l’attuale ritardo e centrare l’obiettivo climatico del 65% di riduzione delle emissioni entro il 2030, in coerenza con l’obiettivo di 1.5° C, grazie soprattutto al contributo dell’efficienza energetica, di rinnovabili, reti e accumuli, e dell’innovazione tecnologica. E’ su questo che deve lavorare in prima battuta, abbandonando la strada delle fonti fossili e del nucleare, lavorando per semplificare e velocizzare gli iter autorizzativi dei progetti di impianti e infrastrutture che vanno nella direzione della lotta alla crisi climatica e dell’indipendenza energetica“, ha continuato.

Le associazioni sottolineano che “a pesare sulle performance dell’Italia un Piano Nazionale Integrato Energia e Clima poco ambizioso negli obiettivi generali di riduzione delle emissioni al 2030, ma anche nelle soluzioni, che si nasconde dietro il dito del pragmatismo e della neutralità tecnologica ricorrendo ancora una volta a false soluzioni (come la CCS e il nucleare) che faranno solo perdere tempo e risorse al nostro Paese, rischiando inoltre di rendere sempre meno competitiva l’Italia sia a livello europeo che mondiale. Il piano, infatti, consente una riduzione complessiva delle emissioni entro il 2030 di appena il 44,3% rispetto al 1990. Un ulteriore passo indietro rispetto al già inadeguato 51% previsto dal PNRR“.

 

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