La sconfitta di Sanna Marin in Finlandia, le dimissioni di Pedro Sanchez in Spagna e i risultati delle elezioni amministrative in Italia indicano con chiarezza che in Europa la sinistra è sempre più in difficoltà. L’elettorato guarda con maggior favore a destra e i partiti di quest’area stanno cavalcando un’onda positiva che dura ormai da mesi e sembra avere tutte le carte in regola per proseguire ancora a lungo. Ridurre questa preferenza a un singolo fattore è pressoché impossibile ma appare chiaro che in una situazione di crisi come quella attuale, economica e (di conseguenza) demografica, buona parte della popolazione abbia scelto di riporre la propria fiducia in forze politiche che appaiono maggiormente concrete e più focalizzate sui “problemi reali” dei Paesi in cui operano.
Che questa presunta concretezza della destra sia reale o frutto di un abile gioco di prestigio (e di comunicazione) non è sempre facile stabilirlo, perché le situazioni possono cambiare molto da una nazione all’altra o persino da un comune all’altro. Ciò è però vero anche al contrario: non sempre dietro il tanto vituperato “idealismo” della sinistra si nasconde un’assenza di iniziative concrete. È possibile combattere le diseguaglianze sociali e le discriminazioni senza ignorare le necessità delle fasce economicamente svantaggiate della popolazione, come dimostrato dal governo Sanchez in Spagna.
Sotto la sua guida c’è stata una crescita del Pil (arrivato a 3,8 nel primo trimestre del 2023), l’occupazione ha subito una spinta importante e le politiche sociali sono state ampliate. Risultati importanti, che però non hanno impedito alla destra di mettere a segno un’importante vittoria nel corso delle ultime elezioni per il rinnovo dei parlamenti di 12 Comunità autonome e delle amministrazioni municipali oltre 8mila comuni.
Per correre ai ripari di fronte a questa débâcle, Sanchez ha scelto di presentare le proprie dimissioni e portare la Spagna a delle elezioni anticipate. Una scelta senz’altro rischiosa, ma anche sensata: trascinarsi il peso della sconfitta per mesi non avrebbe fatto altro che dare ai partiti di destra numerose opportunità per ricordare alla maggioranza la propria debolezza. Ora, invece, l’attenzione dell’opinione pubblica sarà monopolizzata da una campagna elettorale in cui il premier uscente avrà ampie opportunità di ricordare all’elettorato quanto di buono fatto per il Paese nel corso degli ultimi anni. Potrebbe non bastare, soprattutto alla luce del crollo dei partiti che supportavano il Partito Socialista Operaio Spagnolo (Psos), ma a conti fanti rappresenta l’ultima speranza della sinistra spagnola di restare al potere.
In Italia, il successo della destra alle ultime elezioni amministrative stupisce già meno, soprattutto perché i sondaggi l’avevano messo ben in chiaro: la luna di miele tra buona parte dell’elettorato attivo e il governo Meloni non è ancora finita. Certo, nel corso dei mesi c’è stata qualche piccola fluttuazione e le polemiche non sono mancate, ma non è bastato a scalfire l’immagine che l’attuale premier è riuscita a costruire di se stessa, del suo partito e, in misura minore, degli alleati con cui ha scelto di unire le forze. L’entusiasmo suscitato dalla vittoria di Elly Schlein alle primarie del Partito Democratico (Pd) aveva portato a ipotizzare un confronto meno impari tra le due leader, ma alla luce degli ultimi risultati appare chiaro che il divario da colmare è ancora ampio.
Proprio come in Spagna, anche in Italia la concretezza dei risultati ottenuti passa in secondo piano di fronte alla comunicazione, al modo in cui i principali partiti hanno scelto di vendersi. Se Meloni tende a parlare alla “pancia” del Paese, facendo leva su questioni capaci di suscitare facile scalpore, come l’immigrazione, la maternità surrogata e l’evasione fiscale, Schlein propone un modello di lotta alle discriminazioni che continua a incontrare forti resistenze. Tra le sue proposte ci sono anche misure delle quali potrebbe beneficiare buona parte della popolazione, come il salario minimo, ma non fanno abbastanza rumore da sovrastare i proclami roboanti che arrivano dall’altro lato della barricata.
Un’altra questione da considerare è che il partito di cui Schlein ha preso le redini è andato incontro a un lento declino nel corso degli anni e un cambio ai vertici non basta a risolvere magicamente i problemi che lo affliggono. La riabilitazione del Pd agli occhi dell’opinione pubblica non è impossibile, ma richiederà ancora parecchio tempo e un ripensamento pressoché totale di una strategia comunicativa che si è rivelata fallace. Per il momento il partito ha iniziato a cercare di trovare una propria identità, causando anche l’allontanamento di alcuni esponenti delle correnti nate nel corso degli anni.
La politica è spesso anche una questione di immagine e chi è in grado di mostrare all’elettorato quel che vuole vedere ha buone probabilità di vincere. La sinistra sembra aver perso per strada questo talento, mentre la destra non l’ha mai usato così bene come ora, almeno tenendo in considerazione gli ultimi decenni.
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