Tel Aviv ha approvato la restrizione dell’ingresso dei palestinesi che vivono in Israele e a Gerusalemme alla Spianata delle moschee, dove è situata la moschea di Al Aqsa, importante luogo di culto, durante il mese del Ramadan, a partire dalla seconda settimana di marzo.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dato la sua approvazione alle raccomandazioni del ministro della Sicurezza nazionale di estrema destra, Itamar Ben-Gvir, per imporre restrizioni all’accesso dei palestinesi alla moschea di Al Aqsa durante il Ramadan, nonostante l’agenzia di sicurezza del Paese abbia avvertito che il provvedimento potrebbe gettare benzina sul fuoco. Diversi media israeliani, incluso Channel 12, hanno riferito negli ultimi giorni che lo Shin Bet ha avvisato il governo che vietare ai palestinesi di entrare nella moschea di Al Aqsa durante il Ramadan “potrebbe portare a gravi disordini”, che potrebbero essere più “pericolosi” dello scoppio delle tensioni a Gerusalemme, in Cisgiordania e nei territori circostanti avvenuti nel 1948, quando fu dichiarato lo Stato di Israele. Intanto, venerdì scorso a circa 25.000 fedeli palestinesi è stato permesso di entrare nella moschea di Al Aqsa, a Gerusalemme est, per celebrare la preghiera del venerdì per la prima volta dallo scoppio della guerra avvenuto il 7 ottobre 2023.
Non si è fatta attendere la replica di Hamas, che ha definito la decisione di Israele “una violazione della libertà di culto” e ha invitato i palestinesi a “mobilitarsi, a marciare ed essere presenti nella moschea di al-Aqsa”, che si trova nel complesso religioso di Gerusalemme. In un comunicato citato dai media internazionali, il movimento islamista ha affermato che la mossa dello Stato ebraico “indica l’intenzione dell’occupazione di intensificare la sua aggressione contro la moschea di al-Aqsa durante il mese di Ramadan” e ha fatto quindi appello ai palestinesi che vivono nei “territori occupati”, a Gerusalemme e in Cisgiordania “a respingere questa decisione criminale e a resistere all’arroganza dell’occupazione”. Il gruppo al potere nella Striscia di Gaza ha inoltre avvertito che la limitazione dell’accesso alla moschea “non avverrà senza responsabilità”.
Anche un membro della Knesset israeliana, Ahmad Tibi, ha definito la decisione di Netanyahu di limitare l’accesso alla moschea di al-Aqsa una “palese violazione della libertà di culto”. In una dichiarazione condivisa sui social media, Tibi ha descritto Netanyahu come un “prigioniero” del “terrorista condannato Ben-Gvir” (il ministro della Sicurezza nazionale israeliano) e ha affermato che “è tempo che il presidente Usa, Joe Biden, imponga sanzioni allo stesso Ben-Gvir”. Tibi ha aggiunto che “il divieto per i musulmani di pregare nella moschea durante il mese sacro del Ramadan merita di essere discusso alle Nazioni Unite”.
“Il mondo e i leader di Hamas devono sapere che se entro il Ramadan i nostri ostaggi non saranno a casa i combattimenti continueranno nell’area di Rafah”, ha detto il ministro del gabinetto di guerra, Benny Gantz, alla Conferenza dei presidenti delle principali organizzazioni ebraiche americane tenutasi a Gerusalemme. “Lo faremo in modo coordinato, in dialogo con i nostri partner americani ed egiziani, per facilitare le evacuazioni e ridurre al minimo le vittime civili”, ha aggiunto Gantz.
Citando fonti militari israeliane, la Reuters riferisce che Israele prevede di continuare le operazioni militari su larga scala a Gaza per altre 6/8 settimane mentre si prepara ad entrare a Rafah, la città più a sud della Striscia. Secondo le stime dei vertici militari, in questo lasso di tempo si possono ridurre in modo significativo le capacità di Hamas favorendo il passaggio a una fase di minore intensità caratterizzata da attacchi aerei mirati e da operazioni delle forze speciali.
L’esercito israeliano ha ordinato la chiusura di numerose strade nel nord del Paese, al confine con il Libano, per le situazione con gli Hezbollah, hanno poi riferito i media e il Consiglio regionale della zona ha spiegato che la chiusura è in vigore fino a nuovo ordine.
Dal 7 ottobre gli attacchi israeliani hanno causato la morte di quasi 29.000 persone e provocato carenza di beni di prima necessità. Si ritiene che meno di 1.200 israeliani siano stati uccisi nell’attacco di Hamas. Secondo le Nazioni Unite, la guerra israeliana a Gaza ha spinto l’85% della popolazione del territorio allo sfollamento interno a causa della grave carenza di cibo, acqua pulita e medicine, mentre il 60% delle infrastrutture dell’enclave è stato danneggiato o distrutto. Israele è accusato di genocidio davanti alla Corte internazionale di giustizia. Una sentenza provvisoria di gennaio ha ordinato a Tel Aviv di fermare gli atti di genocidio e di adottare misure per garantire che venga fornita assistenza umanitaria ai civili a Gaza.
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