La Corte internazionale di giustizia non archivia il caso intentato dal Sudafrica contro Israele con l’accusa di genocidio a Gaza, come chiesto da Tel Aviv, perché esistono “prove sufficienti” per procedere con il giudizio. “Alcune accuse possono rientrare nel perimetro della Convenzione sul genocidio”, ha spiegato ieri la giudice Joan Donoghue, che presiede la Cgi.
La Corte dell’Aja non ha ordinato il cessate il fuoco a Gaza, come chiesto da Pretoria, ma ha imposto “con effetto immediato” allo Stato ebraico di adottare “tutte le misure in suo potere” per consentire l’ingresso di aiuti umanitari nell’enclave palestinese e “prevenire qualunque atto di genocidio”. Israele ha ora un mese di tempo per presentare una relazione all’Aja, le cui decisioni sono vincolanti ma non prevedono misure coercitive per imporne l’applicazione.
Secondo quanto stabilito dalla sentenza preliminare, Israele deve impedire che le proprie forze armate commettano atti proibiti dalla Convenzione del 1948 e deve punire chi incita alla pulizia etnica. Inoltre deve impegnarsi a preservare le prove del presunto genocidio a Gaza.
La giudice ha detto di essere consapevole della tragedia umana che si sta consumando nella Striscia. Citando i dati delle Nazioni Unite, Donoghue ha affermato che “Gaza è diventata un luogo di morte e disperazione”, un territorio “inabitabile”.
Allo stesso tempo, i giudici hanno chiesto il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas a Gaza.
Immediata la reazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ha bollato la decisione dell’Aja di non archiviare il caso come “un marchio di vergogna che non verrà cancellato per generazioni”. Secondo il premier, “la stessa affermazione che Israele compia un genocidio del popolo palestinese è non solo menzognera ma anche oltraggiosa”.
L’esercito, ha ribadito, conduce una “guerra giusta contro i terroristi di Hamas, non contro il popolo palestinese”. Per questo la “Corte ha respinto giustamente la richiesta di privarci del diritto all’autodifesa”, ha detto a proposito della scelta di non imporre il cessate il fuoco.
Subito dopo il pronunciamento, è arrivato anche il commento del Sudafrica, che ha salutato la “decisione epocale” della Cig. “La giornata di oggi segna una vittoria decisiva per lo stato di diritto internazionale e una pietra miliare significativa nella ricerca di giustizia per il popolo palestinese. Con una sentenza storica, la Corte internazionale di giustizia ha stabilito che le azioni di Israele a Gaza sono plausibilmente genocidio e ha indicato misure provvisorie su questa base”, ha commentato il ministero degli Esteri. Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa dal canto suo ha detto di aspettarsi che Israele si attenga alla sentenza della Corte internazionale di giustizia.
Anche Hamas ha plaudito al verdetto “importante” dei giudici. “La decisione della Corte è uno sviluppo importante che contribuisce a isolare Israele e portare alla luce i suoi crimini a Gaza”. Il movimento palestinese si è appellato all’“occupate” affinché “applichi le decisioni” della Corte internazionale di giustizia. Prima del pronunciamento, il movimento palestinese aveva annunciato che avrebbe rispettato le decisioni dell’Aja, incluso il cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi in cambio del rilascio dei detenuti palestinesi.
Anche l’Autorità nazionale palestinese ha accolto con soddisfazione il verdetto della Corte internazionale di giustizia. “I giudici hanno stabilito i fatti e la legge, si sono pronunciati in favore dell’umanità e del diritto internazionale”, ha commentato il ministro degli Esteri Riad al-Malki, facendo appello “a tutti gli Stati affinché venga garantita l’applicazione dei provvedimenti richiesti dalla Corte, anche da parte di Israele”.
Intanto nel corso della giornata ha fatto irruzione un’accusa pesante nei confronti dell’Unrwa, l’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi. Le autorità israeliane hanno fornito informazioni sul presunto coinvolgimento di alcuni dipendenti negli attacchi di Hamas dello scorso 7 ottobre.
Il commissario generale Philippe Lazzarini ne ha disposto il licenziamento immediato. “Ho preso la decisione di rescindere immediatamente i contratti di questi membri dello staff e di avviare un’indagine per stabilire senza indugio la verità. Qualsiasi dipendente coinvolto in atti di terrorismo sarà ritenuto responsabile, anche attraverso procedimenti penali“, ha fatto sapere con un comunicato . Il segretario generale Onu Antonio Guterres in una nota si è detto “inorridito dalla notizia” e ha chiesto “di indagare rapidamente sulla questione”.
Conseguenza immediata, Il dipartimento di Stato americano ha fatto sapere di aver deciso di “sospendere temporaneamente” i finanziamenti a favore dell’Unrwa, in attesa degli sviluppi delle indagini.
Dietro le quinte nel frattempo la diplomazia si muove. Israele e Hamas avrebbero raggiunto un’intesa su un cessate il fuoco e la liberazione degli israeliani ancora nelle mani del movimento palestinese. Secondo il quotidiano Haaretz, che cita una fonte vicina ai negoziati, l’accordo durerà 35 giorni, durante i quali verranno rilasciati tutti gli ostaggi. In cambio, Tel Aviv rilascerà i prigionieri palestinesi e fornirà aiuti umanitari a Gaza. Secondo la stessa fonte, l’unica questione che resta aperta riguarderebbe la portata del cessate il fuoco. Israele infatti rifiuta una pausa alle ostilità totale, come chiede Hamas.
Intanto nella Striscia la guerra va avanti. Secondo gli ultimi dati diffusi dal ministero della Sanità di Gaza, il bilancio delle vittime avrebbe superato 26mila morti, inclusi almeno 11mila bambini, mentre i palestinesi feriti dalle forze israeliane sarebbero oltre 64mila.
Nel mirino dell’esercito in particolare Khan Yunis, nel sud dell’enclave, dove l’Idf continua a colpire gli “obiettivi terroristici di Hamas”. Secondo Tel Aviv, i miliziani del movimento si troverebbero “all’interno e intorno agli ospedali Nasser e al-Amal”.
Sul fronte umanitario, la situazione appare sempre più critica. Gran parte della popolazione a Gaza soffre la fame per mancanza cronica di generi alimentari, complici le restrizioni all’ingresso degli aiuti imposte da Israele. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha), sono 2,2 milioni le persone esposte al rischio imminente di carestia, su una popolazione totale di 2,3 milioni. Di queste, quasi 400mila sono affette da grave malnutrizione. Quasi il 90% dei palestinesi è sfollato mentre il 60% delle infrastrutture è stato distrutto o danneggiato dai bombardamenti.
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