Un anno dopo gli attacchi della milizia islamica la situazione in Medio Oriente ha vissuto una tremenda escalation. Dalla reazione di Tel Aviv al coinvolgimento del Libano: cosa è successo
All’alba del 7 ottobre 2023, il cielo sopra Israele si riempie del rumore dei razzi. È l’inizio di una delle giornate più tragiche della storia del Paese e del conflitto israelo-palestinese. Hamas, il movimento militante palestinese che controlla la Striscia di Gaza, lancia l’operazione Alluvione al Aqsa, un massiccio attacco coordinato che sorprende Israele nel giorno di shabbat, una festività sacra per gli ebrei, e quasi esattamente cinquanta anni dopo l’inizio della guerra dello Yom Kippur. Le prime ore dell’attacco sono segnate dal caos: migliaia di razzi vengono lanciati su Israele, e simultaneamente gruppi di miliziani attraversano il confine terrestre, marittimo e aereo, infiltrandosi in comunità israeliane vicino alla frontiera con Gaza.
Le prime notizie riportano scene di orrore. I miliziani di Hamas attaccano vari kibbutz vicino al confine, come Kfar Aza e Be’eri, dove si compiono massacri. Al festival musicale Supernova nel deserto del Negev, i partecipanti vengono colti di sorpresa. In meno di 48 ore, l’esercito israeliano riesce a riprendere il controllo del territorio, ma il bilancio è devastante: quasi 1.200 israeliani uccisi, tra cui 859 civili e molti bambini. Inoltre, circa 250 persone vengono prese in ostaggio e portate a Gaza, gettando Israele in uno stato di shock collettivo.
Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, reagisce immediatamente, dichiarando che “Israele è in guerra” e mobilitando decine di migliaia di riservisti. La risposta di Israele è rapida e feroce. Gli attacchi aerei contro Gaza iniziano quasi subito, colpendo obiettivi strategici ma anche civili. In pochi giorni, migliaia di palestinesi perdono la vita nei bombardamenti, e il governo israeliano impone un blocco totale della Striscia, interrompendo l’accesso a cibo, acqua, energia e carburante.
Il blocco imposto da Israele a Gaza crea una catastrofe umanitaria senza precedenti. Con la Striscia completamente isolata e le risorse esaurite, la popolazione si trova in una situazione disperata. Il 21 ottobre, dopo quasi due settimane di combattimenti e bombardamenti incessanti, alcuni aiuti umanitari riescono finalmente a entrare a Gaza attraverso il valico di Rafah, in Egitto. Tuttavia, l’entità degli aiuti è minima rispetto alle necessità della popolazione.
Le Nazioni Unite e varie ONG internazionali lanciano ripetuti appelli per una tregua umanitaria, ma Israele prosegue con la sua offensiva. Il 27 ottobre, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approva una risoluzione che chiede una pausa nei combattimenti per consentire l’accesso agli aiuti umanitari. Israele e gli Stati Uniti votano contro la risoluzione. Nello stesso giorno, Israele intensifica la sua offensiva di terra nella Striscia di Gaza, avanzando verso nord.
Con il passare delle settimane, l’esercito israeliano continua la sua avanzata, spingendo la popolazione palestinese verso il sud della Striscia. Il premier Netanyahu avverte che “la guerra sarà lunga” e che Israele intende mantenere un controllo a lungo termine su Gaza. Le conseguenze umanitarie sono devastanti: a metà novembre, Israele assedia l’ospedale al-Shifa, uno dei principali centri medici di Gaza, accusandolo di ospitare miliziani di Hamas. Il 15 novembre, le forze israeliane prendono il controllo dell’ospedale, e tutti i principali ospedali del nord della Striscia cessano di funzionare.
Sul fronte diplomatico, le pressioni per una tregua crescono. Il 21 novembre, una tregua temporanea viene annunciata, ma dura solo una settimana. Durante questa pausa, Hamas rilascia circa la metà degli ostaggi israeliani in cambio della liberazione di 240 detenuti palestinesi. Tuttavia, il 1° dicembre, la guerra riprende con la stessa intensità di prima. Israele lancia una nuova offensiva, questa volta concentrata su Khan Yunis, una delle principali città nel sud della Striscia.
Le organizzazioni umanitarie e i governi internazionali, compresi gli Stati Uniti, iniziano a criticare apertamente Israele per l’estensione del conflitto e per l’elevato numero di vittime civili causate dai bombardamenti. Il presidente statunitense Joe Biden avverte che i bombardamenti indiscriminati stanno danneggiando la reputazione internazionale di Israele, ma Netanyahu non sembra intenzionato a rallentare l’offensiva.
Nel frattempo, il conflitto si espande al Libano, dove Hezbollah, il gruppo militante sciita, inizia a lanciare razzi verso Israele, innescando una serie di attacchi di rappresaglia da parte dell’esercito israeliano. I combattimenti lungo il confine settentrionale diventano quotidiani, costringendo circa 90.000 abitanti di Israele a evacuare le loro case.
A metà settembre 2024, Hezbollah subisce un duro colpo quando una serie di dispositivi esplosivi, nascosti in walkie-talkie e cercapersone, esplodono improvvisamente, causando decine di morti e feriti tra i suoi combattenti. Secondo fonti non confermate, gli esplosivi sarebbero stati piazzati nei dispositivi dai servizi segreti israeliani, in una complessa operazione di sabotaggio.
Il 23 settembre 2024, Israele compie un raid aereo su Beirut, colpendo l’intero isolato dove si trova il quartier generale di Hezbollah. L’attacco ha come obiettivo specifico Hassan Nasrallah, il leader di lunga data del gruppo sciita. Dopo giorni di speculazioni sulla sua sorte, il 24 settembre Hezbollah conferma che Nasrallah è rimasto ucciso nell’attacco. La morte del leader di Hezbollah rappresenta un punto di svolta nel conflitto, poiché la sua figura era considerata fondamentale non solo per Hezbollah ma per l’intera resistenza contro Israele.
Nasrallah era noto per essere una figura carismatica e strategica, capace di mantenere Hezbollah come un attore politico e militare centrale in Libano. Con la sua morte, il gruppo perde una delle sue principali guide, e le conseguenze sono ancora tutte da valutare.
La morte di Nasrallah segna una nuova fase del conflitto. Hezbollah promette vendetta, ma il gruppo appare significativamente indebolito. Israele, da parte sua, intensifica le sue operazioni in Libano, pur evitando un’invasione terrestre su vasta scala. I raid aerei contro obiettivi di Hezbollah proseguono, mentre Tel Aviv cerca di mantenere una pressione costante sul gruppo sciita.
Le Nazioni Unite e varie altre istituzioni internazionali continuano a chiedere una de-escalation del conflitto, ma le prospettive di una pace duratura sembrano lontane. La situazione resta tesa, con il rischio che il conflitto si estenda ulteriormente a livello regionale, coinvolgendo altri attori come l’Iran, che sostiene Hezbollah, e altre fazioni militanti in Siria e Iraq.
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