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MONDO

Israele-Gaza, tregua umanitaria: come funziona e quanto può durare

Dalle Nazioni unite all’Unione europea passando per la Lega araba e le organizzazioni internazionali, da quando è esploso il conflitto a Gaza si sono moltiplicate le richieste di uno stop alle ostilità: pausa o pause umanitarie, corridoio umanitario, tregua, cessate il fuoco. Solo ieri, dopo un mese e mezzo di intensi bombardamenti e trattative dietro le quinte, si è raggiunta un’intesa su una tregua di quattro giorni parallela a uno scambio tra ostaggi nelle mani di Hamas e detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. La questione non è meramente linguistica. Le parole hanno implicazioni sostanziali sul terreno.

Non a caso il gabinetto di guerra israeliano ha subito precisato, a scanso di equivoci, che “la guerra “continuerà” al termine della pausa “per liberare tutti i rapiti, eliminare Hamas e garantire che da Gaza non provengano ulteriori minacce allo Stato” ebraico. Un’intesa raggiunta dopo una riunione fiume di quasi sette ore, con l’ultra destra che compone la coalizione del governo guidato da Benjamin Netanyahu fermamente contraria all’intesa.

Accordo su tregua e scambio di prigionieri

A confermare l’accordo è stato il Qatar, che dall’inizio del conflitto ha tenuto, insieme a Egitto e Stati Uniti, i fili del negoziato tra Israele e il movimento palestinese che controlla la Striscia. “L’orario di inizio della pausa sarà annunciato entro le prossime 24 ore. Durerà quattro giorni e sarà soggetta a proroga”, ha precisato Doha in un comunicato. Lo stop alla ostilità permetterà l’ingresso nell’enclave di 300 camion di aiuti al giorno, incluso il carburante “destinato ai bisogni umanitari”.

Sono 50 gli ostaggi, degli oltre 200 rapiti lo scorso 7 ottobre, che Hamas si impegna a liberare. Tra loro anche tre cittadini americani. Circa 150 i detenuti palestinesi che verranno liberati da Israele. In entrambi i casi si tratta perlopiù di donne e bambini. Secondo l’amministrazione americana, gli ostaggi verranno rilasciati a partire da giovedì. “Ci aspettiamo che altri siano liberati in un secondo momento”, ha riferito un funzionario.

Intanto la Jihad islamica palestinese, il secondo gruppo armato più grande nella Striscia, ha garantito che rispetterà la tregua. ”Siamo parte dell’accordo. Ci incontriamo, ci consultiamo e ci coordiniamo costantemente con Hamas”, hanno detto all’emittente alJazeera.

Tregua, pausa e cessate il fuoco: le differenze

Mentre tutte prevedono uno stop delle ostilità, ciascuna di queste parole – pausa, pause, tregua, cessate il fuoco – sul terreno assolve a scopi diversi, che vanno da una sospensione temporanea e circoscritta per consentire l’assistenza umanitaria ai civili a uno stop generalizzato delle ostilità.

Da qui la difficoltà a raggiungere un’intesa tra le parti e l’uso ambiguo, più o meno volontario, del lessico attinto al vocabolario delle Nazioni Unite. Da un lato chi invoca un cessate il fuoco e chi vi si oppone, come Israele e gli Stati Uniti, suo principale alleato, perché, è la tesi, “darebbe a Hamas la possibilità di riorganizzarsi”, per usare le parole del segretario di Stato Usa Antony Blinken. Si temono dunque contraccolpi dal punto di vista militare. Allo stesso modo, una pausa umanitaria “troppo” lunga vista da Tel Aviv sarebbe il preludio a un cessate il fuoco e per questo da scongiurare.

Benjamin Netanyahu | Foto ANSA – Newsby.it

 

Secondo la definizione fornita dall’Onu, una “pausa umanitaria” configura una “cessazione temporanea delle ostilità per fini puramente umanitari”. Richiede l’accordo tra le parti e generalmente è circoscritta nel tempo e limitata a una specifica area.

Il cessate il fuoco invece indica una “sospensione delle ostilità concordata dalle parti, tipicamente come tassello di un processo politico”. È pensata per essere a lungo termine e coprire vaste aree geografiche. Lo scopo in genere è quello di consentire alle parti di intavolare un dialogo come preludio a una risoluzione politica e permanente del conflitto.

Nel caso della “cessazione delle ostilità”, la sospensione “consente alle parti di interrompere il conflitto per diverse ragioni, incluso l’avvio di un negoziato politico e un cessate il fuoco duraturo”.

Come ricorda Emanuela-Chiara Gillard, ricercatrice della Chatham House, nessuno di questi termini trova una definizione nel diritto internazionale. E “nessuna delle parti nel conflitto è obbligata ad applicarli”. Allo stesso tempo, gli obblighi previsti dalle legge di guerra restano immutati durante una pausa umanitaria, come per esempio l’evacuazione di feriti e malati, il passaggio sicuro e senza ostacoli dei convogli umanitari.

Come funzionano le pause umanitarie

La sospensione delle ostilità deve essere concordata dalle parti in conflitto. Vanno definiti aspetti come la durata, l’area e la popolazione coinvolta. Tutti aspetti che dipendono dallo scopo della pausa.

L’essenza dell’accordo è la natura esclusivamente umanitaria e non militare”, spiega ancora Gillard. Dunque se le parti abusano dello stop alle ostilità – per esempio sfruttandolo come copertura a operazioni militari o per requisire aiuti destinati ai civili – la pausa rischia di fallire con tutti i pericoli che ne derivano per la popolazione.

Il più delle volte i belligeranti raggiungono un accordo attraverso la mediazione di una terza parte, come un’organizzazione umanitaria o uno Stato. Spesso a condurre i negoziati è la Croce rossa internazionale. In altri casi sono le Nazioni Unite.

Aiuti umanitari, pronti 200 camion per Gaza

Mentre al valico di Rafah attende il via libera all’accordo per lo scambio tra ostaggi e detenuti, si intensifica il flusso di aiuti umanitari. Duecento camion si stanno preparando a entrare domani nella Striscia di Gaza, ha fatto sapere Raed Abdel Nasser, segretario generale della Mezzaluna Rossa egiziana nel Nord Sinai. Oggi nella Striscia sono entrate quattro autocisterne che trasportavano in tutto circa 120mila litri di carburante. Nel vicino porto invece sono approdate quattro petroliere. Circa 470 persone, tutti cittadini stranieri, intanto sono state evacuate in Egitto attraverso il valico.

Ospedale Gaza | Foto ANSA – Newsby.it

Onu: “Gaza il luogo più pericoloso al mondo”

La situazione nell’enclave palestinese resta drammatica. “Gaza è oggi il luogo più pericoloso al mondo per chi è un bambino“, ha detto al Consiglio di sicurezza dell’Onu Catherine Russell dell’Unicef, stimando che il 40% delle vittime nella Striscia sia rappresentano da bambini, un dato “senza precedenti”.

Sima Bahous, direttrice di UN Women, l’agenzia delle Nazioni unite per l’uguaglianza di genere, ha ricordato invece che “ogni giorno nell’enclave 180 donne partoriscono senza acqua, antidolorifici, anestesia per il cesareo, elettricità per le incubatrici né attrezzature mediche”.

Immediata la reazione dell’ambasciatore israeliano Gilad Erdan, che si è presentato con la stella gialla dell’Olocausto ben visibile sul bavero. Il diplomatico ha accusato le due agenzia di essere “parziali”. La riunione al palazzo di vetro, ha denunciato, “non è stata una sessione ma un’inquisizione” contro Israele.

Oltre 14.500 morti, inclusi 6mila bambini

Intanto sale il bilancio delle vittime. Secondo il ministero della Sanità palestinese, sono oltre 14.500 le persone che hanno perso la vita nella Striscia di Gaza a causa dei raid israeliani dal 7 ottobre scorso. Tra i morti si contano anche più di 6mila bambini e 4mila donne.

Tra il personale medico e sanitario il numero delle vittime ha superato quota 200.  Un bilancio che si teme sia fortemente sottostimato, visto che circa settemila persone risultano ancora disperse. Secondo il Cpj (Committee to Protect Journalists), il numero dei giornalisti uccisi mentre facevano il proprio lavoro a Gaza ha superato quota 50.

Federica Giovannetti

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