Dopo l’assalto lanciato da Hamas sabato scorso, nel cinquantesimo anniversario della guerra dello Yom Kippur del 1973, il governo guidato dal primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato lo stato di guerra. Del resto non è la prima volta che Israele combatte con i militanti del movimento islamico che controlla la Striscia di Gaza. È successo almeno sei volte negli ultimi 17 anni, da quando l’esercito e i coloni degli insediamenti si sono ritirati dal territorio costiero nel 2005, in una storica operazione voluta dall’allora premier Ariel Sharon.
È il luglio del 2006 quando Israele lancia l’operazione “Piogge estive” su Gaza, dopo il rapimento del soldato Gilad Shalit. Un commando di miliziani palestinesi sbuca da un tunnel e, cogliendo di sorpresa le truppe israeliane, uccide due soldati e rapisce il giovane caporale. Il rapimento provoca settimane di raid aerei e incursioni per cercare di liberarlo. Il militare viene rilasciato solo cinque anni in uno scambio di oltre mille prigionieri palestinesi.
Nel dicembre del 2008, è la volta dell’operazione “Piombo fuso”, una campagna di attacchi aerei per fermare il lancio di razzi dalla Striscia verso Israele. Quando il 18 gennaio viene annunciato il cessate il fuoco, sono stati uccisi 1.400 palestinesi e 13 israeliani.
Quattro anni dopo, il 14 novembre 2012, parte l’operazione “Pilastro di difesa” con un attacco missilistico che uccide il principale comandante di Hamas Ahmed Jaabari. Negli otto giorni di conflitto che seguono, vengono uccisi 177 palestinesi e sei israeliani. I militanti di Gaza lanciano più di mille razzi verso il Paese, centinaia dei quali vengono intercettati dal sistema di difesa missilistico “Iron Dome”.
Nel luglio 2014, Israele lancia “Linea di protezione” sempre con l’obiettivo dichiarato di fermare il lancio di razzi palestinesi e distruggere i tunnel usati dai militanti per infiltrarsi nel Paese. La campagna militare bombarda la Striscia dall’aria e dal mare. Il conflitto, durato sette settimane, provoca la morte di 2.251 palestinesi e 74 israeliani, tra cui 68 soldati.
Nel maggio del 2021 si verificano nuovi scontri tra le forze di sicurezza israeliane e palestinesi presso la moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, con il ferimento di centinaia di fedeli. Da Gaza quindi parte una raffica di razzi, a cui Israele risponde con attacchi aerei e di artiglieria. La campagna militare “Guardiano delle Mura” va vanti per 11 giorni e provoca la morte di almeno 248 persone a Gaza, inclusi 66 bambini. Tredici sono i morti da parte israeliana, tra cui un soldato.
Nel maggio di quest’anno, le forze israeliane si scontrano con un altro gruppo attivo nella Striscia, la Jihad islamica. Muoiono 33 persone a Gaza, inclusi sei bambini, e due in Israele. I colpi israeliani uccidono almeno sei figure di spicco del movimento considerato un gruppo terroristico dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Si arriva al cessate il fuoco grazie alla mediazione dell’Egitto.
In una prima fase, Hamas attacca Israele soltanto con attentati terroristici. I primi sono portati avanti da kamikaze che si fanno saltare in aria alla fermata del bus o nelle discoteche piene di civili. Fra gli altri, spiccano gli attacchi a Gerusalemme nel 1997, a Rishon LeZion nel 2002 e quello su un bus ad Haifa nel 2003. I morti si contano a decine. Gli attentati suicidi si sono moltiplicati durante la seconda Intifada (rivolta) palestinese, con centinaia di vittime israeliane.
È dal 2001 che Hamas comincia a prendere di mira Israele anche con razzi, importati clandestinamente attraverso i tunnel al confine fra Egitto e Gaza o fatti con mezzi rudimentali.
Il gruppo Hamas, o Movimento di Resistenza Islamica, viene fondato nel 1987 durante la prima Intifada palestinese. È sostenuto dall’Iran sciita e condivide l’ideologia islamista dei Fratelli Musulmani, fondati in Egitto alla fine degli anni ‘20. Controlla la Striscia di Gaza dal 2007. Da 16 anni il leader politico del movimento è Ismail Haniyeh.
Hamas rifiuta di riconoscere lo Stato di Israele e si oppone agli accordi di pace di Oslo negoziati nel 1993 da Israele e dall’Olp (l’Organizzazione per la liberazione della Palestina). Il movimento considera le proprie azioni militari come una forma di resistenza contro l’occupazione israeliana.
La sua carta costitutiva del 1988 prevedeva la distruzione di Israele, anche se i leader di Hamas hanno talvolta offerto una tregua a lungo termine in cambio di uno Stato palestinese operativo su tutto il territorio palestinese occupato dopo la guerra dei Sei giorni del 1967. Sin dal 1994 è inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche di Israele e degli Stati Uniti. È considerata un’organizzazione terroristica anche da Unione Europea, Canada, Egitto e Giappone.
Fa parte di un‘alleanza regionale che comprende Iran e il gruppo islamico sciita Hezbollah in Libano. Anche se la sua base è a Gaza, i suoi leader sono sparsi in tutto il Medio Oriente, compreso il Qatar.
Il leader militare del movimento è avvolto nel mistero. Mohammad Deif dal 2002 è il comandante delle Brigate Ezzedin al-Qassam, il bracco armato di Hamas, l’uomo che ha annunciato l’inizio dell’operazione militare senza precedenti contro Israele. È il “fantasma” di Gaza: pochissimi hanno contatti diretti con lui e ci sono dubbi persino sulla sua reale identità. Alcuni sostengono che il suo vero nome sia come Mohammed al-Masri.
L’ultima sua foto risale al 2001, quando viene rilasciato da un carcere dell’Anp. Nato a Khan Younis più o meno 60 anni fa, ha studiato scienze all’università islamica di Gaza. Si è unito al movimento islamista nel 1990 e negli ultimi 20 anni è sopravvissuto a diversi tentativi israeliani di assassinarlo. In un raid nel 2014 perde la moglie e il figlioletto di sette mesi. Deif è la mente della strategia del lancio di razzi contro lo Stato ebraico e della costruzione dei tunnel per infiltrare uomini e armi. Da anni nemico numero uno di Israele, è considerato il più inflessibile oppositore al cessate il fuoco con lo Staro ebraico.
Dopo il ritiro di Israele da Gaza, le storiche elezioni politiche del 2006 nella Striscia, riconosciute come trasparenti dalle organizzazioni internazionali, segnano un punto di svolta. Fatah, il partito guidato dal presidente palestinese Mahmoud Abbas, subisce una cocente sconfitta mentre Hamas ottiene la maggioranza, grazie soprattutto a un welfare sociale parallelo che per anni garantisce servizi di base alla popolazione attraverso una rete di assistenza socio-religiosa: cure mediche, istruzione, aiuti alimentari. Supplisce all’assenza dell’Autorità nazionale palestinese e in cambio chiede fedeltà al proprio movimento.
La prima guerra civile palestinese risale al giugno del 2007, quando le milizie di Hamas attaccano Fatah e nel giro di pochi giorni conquistano la sede militare dell’Anp. I membri del movimento palestinese vengono estromessi dal potere, espulsi, arrestati o giustiziati. Le vittime sono più di 100.
Dopo quello che Fatah considera il “golpe di Hamas”, i Territori palestinesi si spaccano in due. Da una parte la Cisgiordania, dove comanda l’Anp guidata dal presidente Abu Mazen, dall’altra la Striscia di Gaza controllata da Hamas.
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