Dagli Stati Uniti arriva un’accusa pesantissima nei confronti del governo cinese. Secondo quanto riportato dal New York Times, il governo di Pechino starebbe spiando dal mese di maggio il Vaticano, attraverso gli hacker di RedDelta. Una mossa contestualizzata in un periodo storico particolare per il rapporto tra la Santa Sede e la Cina, vicine al rinnovo dell’Accordo sulle nomine dei vescovi nel Paese asiatico.
I reporter americani fondano la loro ricostruzione sull’ultimo rapporto di Recorded Future, società privata americana di Somerville, nel Massachusetts, che traccia gli attacchi informatici.
Gli attacchi hacker avrebbero colpito, in particolare, la Holy See Study Mission di Hong Kong, realtà di grande valenza strategica per il Vaticano. Di fatto è il collegamento principale con le diocesi della Cina. Come ‘Cavallo di Troia’ per entrare nei sistemi informatici del Vaticano, RedDelta avrebbe utilizzato una lettera di cordoglio del segretario di Stato del Vaticano, cardinale Pietro Parolin, per la morte del vescovo cinese Joseph Ma Zhongmu della diocesi di Yinchuam/Ningxia.
La missiva, firmata per conto di Parolin dall’arcivescovo Edgar Peña Parra, sostituto della segreteria di Stato, era all’apparenza legittima perché scritta su carta intestata autentica. Come destinatario aveva monsignor Javier Corona Herrera, cappellano della Holy See Study Mission.
Secondo quanto emerso dall’inchiesta del quotidiano newyorchese, l’intrusione di RedDelta avrebbe permesso al governo cinese di comprendere il posizionamento dei diplomatici della Santa Sede riguardo all’Accordo sulle nomine dei vescovi. Quest’ultimo, dopo anni di tensioni, è visto come il simbolo di una sorta di riappacificazione tra la Chiesa cattolica e Pechino dopo anni di persecuzioni religiose nel Paese asiatico. L’Accordo, però, non è mai piaciuto all’amministrazione Trump, che guarda con sospetto le aperture di Papa Francesco all’Oriente. Lo stesso Trump sta vivendo in questi mesi una crisi politico-economica proprio con il governo cinese.
Dopo la diffusione della notizia, il governo cinese ha negato nella maniera più assoluta ogni tipo di addebito. Wang Wenbin, portavoce del Ministero degli Affari Esteri, ha rilasciato una smentita ufficiale alle agenzie internazionali. “Prima di tutto dovrebbero essere fornite prove sufficienti quando si indagano e si determinano la natura degli incidenti sulla cybersecurity – ha detto -. E comunque non dovrebbero essere fatte ipotesi arbitrarie“.
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