Mentre il mondo è giustamente concentrato sulla pandemia di Coronavirus che sta sconquassando le vicende dell’attualità, ormai diffusasi ad ogni angolo del pianeta con un impatto a livello economico ancora da decifrare ma che già fa intendere difficoltà a tutti i livelli della nostra società, la notizia della possibile morte del leader nord-coreano Kim-Jong-un sta passando quasi in sordina nell’agone mediatico.
Eppure il giovane dittatore è colui il quale non più di due anni fa ha fatto stare con il fiato sospeso tutto il mondo per le sue minacce belliche, dopo un riarmo nucleare annunciato a più riprese e prima di un lavoro fra le diplomazie di Pyeongyang e Washington che ha poi spento davanti agli occhi dell’opinione pubblica il rischio di guerra fra i baci e gli abbracci tra Kim e Donald Trump.
Lo avevamo lasciato lì, Kim-Jong-un, a quelle minacce rientrate e a quel suo aspetto paffuto, quasi comico, che in fondo in fondo ci ha fatto pensare di aver temuto per nulla.
Oggi, il leader della Corea del Nord torna però a rianimare le agenzie internazionali per una notizia inquietante rimbalzata, in via mai ufficiale, da più parti: Kim sarebbe morto per l’insorgere di complicanze nelle sue condizioni di salute. Ma che è successo?
Ricostruire un tam-tam mediatico fatto di voci, mai davvero confermate, e smentite a quelle stesse voci è impresa ardua. Proviamo a riassumerlo per sommi capi.
A metà aprile la testata sud-coreana Daily NK, solitamente ben informata sui cugini del Nord, annuncia un intervento subito da Kim-Jong-un per problemi cardiovascolari. Niente di preoccupante, insomma, a maggior ragione se la stessa testata motivava l’assenza del leader del regime al “Giorno del Sole” proprio adducendo al decorso post-operatorio da dover rispettare.
E’ però la CNN che, il 21 aprile, annuncia la top news di giornata: Kim-Jong-un sarebbe in gravissime condizioni.
Da lì in poi è un furioso ricercare conferme attraverso i media asiatici, ma più le si cercano e più arrivano le smentite. Come quella pronunciata direttamente dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che giudicava la notizia infondata seppure la stessa CNN avesse fatto riferimento a una fonte interna all’intelligence americana.
Il mistero si infittisce quando venerdì la Reuters scrive di medici inviati dalla Cina in Corea del Nord al fine di supportare Kim in una fase delicata; ma è la stessa Reuters che ammette poi di non aver più avuto notizie in merito. La notizia di Jong-un ancora in vita aveva poi trovato riscontro da alcune immagini satellitari che ritraevano il treno privato del giovane dittatore nei pressi di Wonsan, località balneare nord-coreana, spunto che ha fatto pensare dapprima a un buen retiro in un resort sulla costa, e subito dopo a una “mossa” del regime per depistare le inchieste giornalistiche e i servizi segreti stranieri.
Tutto ciò, mentre ad Hong Kong la numero due dell’emittente televisiva Shijian Xingzou rilanciava con certezza la morte di Kim e, al tempo stesso, l’americana Newsweek non riscontrava – attraverso informazioni dalla Difesa USA – movimenti diversi dal solito nella politica militare della Corea del Nord. Tesi, quest’ultima, confermata dalla stampa sud-coreana, che ha giudicato speculative le voci sul 37enne leader “vicino di casa”.
Nemmeno TMZ, testata gossip solitamente ricettiva su argomenti di così grande interesse internazionale, è riuscita a dar prova delle voci sul decesso di Kim, pur rilanciandone le concrete possibilità.
Insomma, tutto e il contrario di tutto.
Bisogna dire che le lunghe assenze dalla sfera pubblica dei leader nord-coreani non sono così inusuali.
Kim-Jong-il, padre dell’attuale capo nord-coreano, nel 2008 era uscito di scena per un lungo mese lasciando a bocca asciutta media internazionali e leader politici, apparendo poi al termine di un complicato periodo di recupero seguito a un infarto annunciato solo a giochi fatti.
Lo stesso Kim-Jong-un più volte è scomparso dalla scena per giorni, beneficiando dell’estrema segretezza che copre tutte quante le operazioni che riguardano il suo regime.
Certo, i sospetti si sono moltiplicati durante la sua assenza del 15 aprile, già citata in precedenza, giornata che, come tanti ricorderanno, dal momento della sua nomina nel 2011 è utilizzata dall’apparato militare nord-coreano per sfoggiare tutta la sua potenza.
E questa volta, innanzi a quella sfilata, il giovane Kim non c’era…
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