È stata una giornata ad alta tensione quella di ieri a Hong Kong, dove la prima grande manifestazione anti-Pechino dall’inizio dell’emergenza Coronavirus si è trasformata praticamente in una battaglia. Sono stati migliaia gli attivisti democratici che hanno protestato contro la Cina e in particolare contro la legge sulla sicurezza nazionale, attualmente all’esame del Congresso Nazionale del Popolo a Pechino. La polizia in tenuta antisommossa si è comportata come sempre in questi casi: ha caricato e ha disperso i cortei, usando gas lacrimogeni, spray urticanti e cannoni ad acqua. Almeno 150 manifestanti sono stati arrestati; la maggior parte per assembramento illegale.
La nuova legge che Pechino vuole varare in fretta (al più tardi entro quattro o cinque giorni) permetterebbe al Governo cinese di prevenire, fermare e punire ogni possibile atto di secessione, vietare attività di forze esterne o straniere e stabilire agenzie di sicurezza sul territorio. Secondo le opposizioni la normativa aggira e scavalca la legislazione dell’ex colonna britannica e mette fortemente in discussione l’indipendenza e l’autonomia di Hong Kong, violando il principio di “Un Paese, due sistemi”, che regola i rapporti tra Pechino e la città dal 1997, anno in cui la Gran Bretagna la riconsegnò alla Cina. Le proteste di ieri sono solo l’antipasto di quello che avverrà nei prossimi giorni.
Il movimento promette infatti un’escalation dopo la pausa dovuta alla pandemia. “Dobbiamo contrattaccare e salvaguardare Hong Kong”, spiega Joshua Wong, uno dei leader della protesta nonché fondatore del gruppo di attivisti studenteschi Scholarism, che chiede agli altri Paesi di schierarsi contro la legge e quindi contro Pechino. E all’Italia, in particolare, di ridurre la partecipazione al discusso progetto della Via della Seta. Ma non è certo intenzione di Xi Jinping quella di frenare e di rinunciare alla nuova normativa. Anzi: il ministro degli Esteri, Wang Yi, ieri ha ribadito che la legge va approvata senza il minimo ritardo. “Hong Kong è questione interna della Cina”, ha detto, “e nessuna interferenza è tollerabile”.
Hong Kong non è nuova a proteste di massa. Nel 2019 le manifestazioni, cominciate all’inizio del mese giugno, riguardavano l’emendamento a una legge sull’estradizione che, se fosse stato approvato dal Parlamento locale, avrebbe consentito di processare nella Cina continentale gli accusati di alcuni crimini gravi, come lo stupro e l’omicidio. Secondo i suoi detrattori, la legge avrebbe soprattutto permesso a Pechino di avere una scusa per mettere a tacere i dissidenti politici e aumentare la propria influenza nel governo locale. Il 23 ottobre scorso il Governo di Hong Kong aveva poi formalmente ritirato la legge.
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