Per la prima volta dalla sua entrata in vigore, un tribunale di Hong Kong ha applicato la nuova legge sulla Sicurezza nazionale voluta dal Governo cinese per giudicare un manifestante. Si tratta di Tong Ying-kit, cameriere di 24 anni, condannato a nove anni di carcere per i reati di incitamento alla secessione e terrorismo.
Tong, il primo luglio 2020, poche ore dopo l’entrata in vigore della legge, era salito su una moto ‘armato’ di una bandiera con la scritta “Libertà per Hong Kong, la Rivoluzione dei nostri giorni”. Durante la protesta, però, il giovane aveva investito un gruppo di poliziotti, cadendo a terra. La polizia lo aveva pertanto bloccato e arrestato.
La sua condanna costituisce un precedente storico nell’ordinamento giudiziario di Hong Kong, la cui autonomia da Pechino è vista come fortemente danneggiata in Occidente. Anche il processo è apparso “insolito”, così come lo hanno definito le emittenti locali. Ad esempio non c’era una giuria. Come giustificazione il Governo ha addotto dei timori per la sicurezza personale dei giurati e delle loro famiglie.
Il caso di Tong, però, è particolare anche perché si tratta di una delle poche persone perseguite per un atto esplicitamente violento, ossia aver investito i poliziotti. Mentre la maggioranza degli accusati ai sensi della legge cinese è agli arresti per aver espresso opinioni politiche. Opinioni che, secondo le autorità, sono illegali.
In totale sono già più di sessanta le persone accusate in virtù delle norme sulla Sicurezza nazionale imposte da Pechino. Uno strumento, questa legge, con cui la Cina ha messo in atto una vera e propria repressione del movimento pro-democrazia. Nel mirino c’è ad esempio il magnate dei media, Jimmy Lai, ex editore dell’ormai chiuso tabloid Apple Daily.
Alla maggior parte degli arrestati, inoltre, le autorità non hanno concesso la libertà su cauzione e tutti sono in attesa di un processo. Secondo alcuni osservatori, la sentenza dimostra che la giustizia di Hong Kong sta adottando un’interpretazione molto ampia della legge e che i tribunali dell’ex colonia britannica optano per la severità in vigore nei tribunali cinesi.
Altro esempio di questa interpretazione ampia della legge è l’inchiesta aperta dalla polizia della metropoli asiatica dopo che alcune persone, in un centro commerciale, hanno fischiato l’inno cinese alle Olimpiadi dopo la vittoria del fiorettista Edgar Cheung Ka-long contro l’italiano Daniele Garozzo. Al momento dell’inno, infatti, i presenti hanno ripetuto a gran voce lo slogan “Noi siamo Hong Kong”.
Una trasgressione che, secondo la legge cinese, può costare molto caro: fino a tre anni di reclusione e una multa da 500mila dollari locali (poco più di 5mila euro al cambio). La polizia, riferisce il South China Morning Post, ha già arrestato un uomo e sta visionando i filmati dell’impianto di videosorveglianza del centro commerciale.
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