Dall’Iran al Libano passando per Qatar e Siria, la mappa è costellata di Paesi che stanno con Hamas e plaudono all’offensiva lanciata lo scorso sabato dal movimento islamista che controlla la Striscia di Gaza dal 2007. Al netto degli alleati storici che foraggiano con armi e fondi i miliziani palestinesi, c’è poi uno zoccolo duro che, persino difronte alle immagini e ai racconti strazianti delle uccisioni di civili, non solidarizza con Israele.
Anche se Teheran nega un coinvolgimento diretto nell’attacco messo a segno da Hamas, in molti sospettano che l’appoggio dell’Iran al movimento palestinese vada ben oltre gli attestati di solidarietà, che pure non sono mancati in questi giorni. C’è il timore fondato che la Repubblica islamica sia dietro alla panificazione dell’attacco, complesso e sofisticato, che sabato scorso ha colto di sorpresa Israele.
Del resto gli ayatollah hanno fatto dell’odio nei confronti del “nemico sionista” la loro ragione sociale. “Baciamo le mani di coloro che hanno pianificato l’attacco al regime sionista”, ha detto la Guida suprema dell’Iran Ali Khamenei. “Quando la crudeltà e il crimine superano i limiti e l’avidità raggiunge il picco, bisogna aspettarsi la tempesta”.
Parole a cui hanno fatto eco quello del presidente iraniano Ebrahim Raisi, che si è congratulato. “Malgrado la disparità di mezzi e di servizi fra le forze di resistenza e l’esercito sionista, i guerrieri palestinesi hanno mandato all’aria l’equilibrio del regime sionista, usando l’elemento sorpresa in un’operazione su vasta scala”, ha scandito ribadendo “il sostegno della Repubblica islamica alla resistenza e al popolo palestinese”.
Ieri si è aperto un altro fronte, quello settentrionale al confine con il Libano dominato dagli Hezbollah, il “Partito di dio” filo iraniano e storico alleato di Hamas. Ci sono stati scontri a fuoco tra l ‘esercito israeliano e i miliziani sciiti, seguiti da bombardamenti di artiglieria lanciati da entrambe le parti.
Un’escalation che ha portato il premier libanese Najib Miqati, a capo di un governo di cui fanno parte ministri di Hezbollah, a rompere il silenzio pronunciato la prima dichiarazione ufficiale del Paese dei cedri. Quanto sta accadendo, ha detto, è “il risultato inevitabile delle azioni del nemico israeliano contro i palestinesi e le loro rivendicazioni legittime”.
Altro solido alleato di Hamas, il Qatar dà rifugio al capo politico Ismail Haniyeh sin dal 2020. Una presenza, quella del movimento palestinese, che risale al 2011, quando il leader ha lasciato la Siria, precipitata nel conflitto civile. Un sostegno concreto ma discreto che non si traduce in un’opposizione aperta allo Stato ebraico. Solo un mese fa il primo ministro qatariota Mohammed Al-Thani ha ribadito che l’emirato “non è in guerra con Israele” ma che il Paese deve raggiungere un accordo di pace con i palestinesi.
Non stupisce che Doha abbia assunto il ruolo di mediatore, in coordinamento con gli Stati Uniti, nella librazione degli ostaggi, un centinaio, nelle mani del gruppo a Gaza. Ne ha dato conferma nei gironi scorsi il ministero degli Esteri. “Siamo in costante contatto con tutte le parti. La nostra priorità è porre fine allo spargimento di sangue, liberare i prigionieri e assicurarci che il conflitto venga contenuto senza che si espanda al resto della regione”, ha riferito all’agenzia Reuters.
Anche dalla Siria ieri sono partiti lanci di missili contro Israele, in campi aperti sulle alture del Golan, senza causare vittime. Le forze armate di Tel Aviv a loro volta hanno risposto con colpi di artiglieria e mortai. Damasco, altro storico alleato di Hamas e della Jihad islamica, a cui ha fornito supporto politico e militare, da sempre sostiene la causa palestinese, più per interesse che per convinzione, a detta di molti analisti.
Nei giorni scorsi Hamas ha incassato la solidarietà anche dell’Algeria con dichiarazioni al vetriolo contro Israele. Il ministero degli Esteri algerino ha condannato con “forza” gli “attacchi brutali israeliani contro la Striscia di Gaza, che sono costati la vita a decine di innocenti del popolo palestinese caduti martiri”, vittime della “persistente occupazione sionista e della politica di tirannia e persecuzione nei confronti del coraggioso popolo palestinese” in “violazione delle più elementari regole umanitarie e dei riferimenti di legittimità internazionale”.
Parole che probabilmente hanno impensierito diverse cancellerie occidentali, in testa il governo italiano, che sul Paese mediorientale ha puntato negli ultimi due anni per smarcarsi dalle importazioni di gas russo.
Anche per il governo iracheno, l’operazione lanciata da Hamas contro Israele è il risultato della politica dello Stato ebraico nei confronti dei Territori occupati. “Le azioni intraprese oggi dal popolo palestinese sono il risultato prevedibile di decenni di oppressione sistematica a cui è stato sottoposto da parte delle autorità di occupazione sioniste, che ignorano costantemente il diritto internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite”, ha detto il portavoce Basem al-Awadi.
Più sfumato il commento del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, da tempo strenuo difensore della causa palestinese, che ha ammonito Israele dal compiere un attacco “indiscriminato” nella Striscia. “Colpire collettivamente e indiscriminatamente gli abitanti di Gaza non farebbe altro che aumentare le sofferenze e rafforzare la spirale di violenza nella regione”, ha detto all’omologo israeliano Isaac Herzog.
Storicamente fuori dagli schieramenti, la Russia ha mantenuto anche in questa occasione una posizione di apparente equidistanza tra Israele e Palestina. Il presidente Vladimir Putin ha espresso “profonda preoccupazione” per il “deciso peggioramento della situazione” e “il catastrofico aumento nel numero delle vittime civili”. Il Cremlino ha quindi ribadito la necessità di “un immediate cessate il fuoco” e l’avvio di un negoziato.
In patria però non manca chi tifa apertamente Hamas, a cominciare dall’ideologo ultra nazionalista russo Alexander Dugin, ritenuto vicino a Putin. “L’Iran è nostro amico, alleato e fratello ed è stato al fianco della Russia nel momento del bisogno, mentre Israele non lo è. È un vassallo degli Stati Uniti”, ha scritto si Telegram ricordando che “i globalisti americani, con i quali ora siamo in guerra in Ucraina, hanno pienamente sostenuto Israele. Così come l’Ucraina”.
Il leader ceceno Ramzan Kadyrov invece si è scoperto colomba e si è detto pronto a inviare uomini da Grozny. “Sosteniamo la Palestina e chiediamo la fine dell’escalation. Se necessario siamo pronti a inviare le nostre unità in qualità di forze di peacekeeping per ristabilire l’ordine e affrontare chi crei problemi. Siamo contrari a questa guerra”, ha scritto su Telegram.
Non poteva mancare la reazione della Corea del Nord, che non perde occasione per dare addosso all“imperialismo dell’Occidente”. Il conflitto è “ il risultato dei continui atti criminali di Israele contro il popolo palestinese”, ha scritto sulla stampa di regime Rodong Sinmun, portavoce del Partito dei Lavoratori. La sola “via d’uscita è costruire uno Stato palestinese indipendente”.
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