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MONDO

Haiti, Tagikistan e altri: quando l’invasione militare è “gradita”

Dopo l’omicidio del presidente Jovenel Moïse, Haiti è nel caos. L’inchiesta della polizia sull’assassinio del 58enne Capo dello Stato ha portato finora all’arresto di 20 persone: 18 colombiani e due americani di origini haitiane. Altri colombiani sono tuttora ricercati. Ma i problemi nel Paese sono molteplici.

La crisi umanitaria ad Haiti

Ci sono innanzitutto delle criticità di natura umanitaria. Secondo l’Unicef, infatti, circa un terzo di tutti i bambini di Haiti – almeno 1,5 milioni – ha urgente bisogno di aiuti. Le cause sono svariate: dalle crescenti violenze che stanno martoriando il Paese ai problemi legati agli uragani, fino alla scarsità di acqua potabile, cibo e cure. Ma anche l’interruzione dei servizi di istruzione e protezione che si trascina dall’inizio della pandemia di Covid-19.

Il vuoto di potere politico

Non mancano nemmeno problemi di carattere costituzionale e politico, sorti dopo l’omicidio di Moïse. La Costituzione haitiana stabilisce infatti che il potere debba passare al primo ministro fino a nuove elezioni. Tuttavia, tale carica era già ricoperta ad interim da Claude Joseph, mentre il nuovo primo ministro, Ariel Henry, nominato da Moïse solo tre giorni prima dell’attentato, non aveva ancora giurato.

Secondo la Costituzione, questo vuoto di potere dovrebbe essere colmato dal presidente della Corte Suprema, ma il giudice Rene Sylvestre è morto di Covid a fine giugno. Un vuoto di potere che ora vorrebbero colmare le gang armate rivali che dall’inizio di giugno hanno ripreso a scontrarsi nelle aree urbane della capitale di Haiti, Port-au-Prince. E gli sciacalli hanno già bruciato o danneggiato centinaia di abitazioni.

Haiti chiede agli Usa l’invio di truppe

Una situazione che ha già costretto 15mila donne e bambini a fuggire dalle loro case, di cui l’80% solo nelle ultime quattro settimane. Motivo per cui il giorno stesso dell’assassinio di Moïse le autorità dell’isola caraibica hanno fatto appello alle Nazioni Unite, chiedendo un invio di truppe nel Paese. Il tutto per “sostenere gli sforzi della polizia nazionale volti a ristabilire la sicurezza e l’ordine pubblico”, scrive Reuters citando la lettera.

Al momento, però, nessuna risposta è pervenuta dagli Stati Uniti. Il portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, riporta il New York Times, ha detto che uomini dell’Fbi e del Dipartimento di sicurezza interna partiranno per Port-au-Prince “il prima possibile”. Ma, quanto alla richiesta di Haiti, l’Amministrazione di Joe Biden al momento non sembra intenzionata ad inviare un contingente militare nel Paese.

Il Tagikistan cerca la sponda russa

Quello di Haiti, comunque, non è l’unico caso in cui un’invasione militare è ‘voluta’. Giusto ieri, infatti, il Tagikistan ha formalmente chiesto ai membri della Csto, l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva guidata dalla Russia, l’invio di truppe. L’obiettivo è quello di sorvegliare e proteggere il confine tagico con l’Afghanistan dall’ondata di soldati governativi in fuga dal Paese.

Il ritiro, dopo vent’anni, delle truppe straniere – Usa in testa – ha infatti generato un pericoloso squilibrio politico-militare con una nuova avanzata delle forze talebane, le quali sostengono di aver già recuperato il controllo dell’85% del territorio nazionale. Si stima che, solo questa settimana, siano stati 1.000 i soldati afghani fuggiti a Nord verso il Tagikistan.

Putin pronto all’intervento militare

Mosca, a differenza di Washington, sembra però intenzionata ad ‘esaudire’ la richiesta del Tagikistan. La Russia, riporta The Moscow Times, è infatti pronta ad attivare uno dei pochi siti militari presenti su suolo straniero situato proprio in Tagikistan, Paese dell’ex blocco sovietico. E dove già si trovano più di 6mila soldati schierati nella 201esima base militare delle Forze di terra russe.

Il caso Serbia-Kosovo e le mire turche

Altra situazione borderline è quella al confine tra Serbia e Kosovo. Nel primo caso la presidente kosovara, Vjosa Osmani, nei giorni scorsi ha manifestato crescente preoccupazione per il processo di riarmo in atto a Belgrado. Tanto da temere che le truppe serbe possano oltrepassare il confine con il Kosovo anche grazie al tacito consenso della Russia di Vladimir Putin.

Osmani ha però avvertito che, nel caso accadesse, i serbi si troverebbero a fronteggiare contingenti militari degli Stati Uniti e della Nato. Ci sono, infine, le mire espansionistiche della Turchia verso l’Afghanistan. Rafforzata la presenza – richiesta e non – in Libia e Siria, Recep Tayyip Erdogan vorrebbe infatti sbarcare a Kabul e prendere il posto delle forze straniere uscenti per accrescere il suo peso internazionale.

Alessandro Boldrini

Classe 1998, laureato in Scienze Umanistiche per la Comunicazione alla Statale di Milano, sono giornalista pubblicista dal 2019. Mi occupo di cronaca nera, giudiziaria e inchieste sulla criminalità organizzata. Ho mosso i primi passi nella cronaca locale, fino a collaborare con il quotidiano statunitense The Wall Street Journal. Sono un attivista antimafia e partecipo come relatore ad assemblee pubbliche sul tema al fianco di magistrati ed esperti del settore. Amo il calcio, la musica, il cinema e la fotografia.

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