Gli Usa mostrano i muscoli nel Mediterraneo per scongiurare il possibile allargamento del conflitto tra Hamas e Israele all’intera regione. Il Comando centrale dell’esercito Usa ha annunciato su X che un sottomarino nucleare di classe Ohio è stato schierato nella propria “area di responsabilità”, che si estende dall’Africa nord-orientale attraverso il Medio Oriente fino all’Asia centrale e meridionale.
Come hanno sottolineato diversi analisti, il fatto che Washington ne abbia dato notizia sui social, cosa di per sé eccezionale, ridimensiona la portata della minaccia. E segnala che la mossa ha un valore soprattutto di deterrenza. Si tratta insomma di un messaggio indirizzato agli avversati dispiegati nella regione, dall’Iran a Hezbollah in Libano, due giorni dopo l’annuncio da parte della Marina Usa, sempre via social, dell’arrivo in Medio Oriente di due gruppi d’attacco di portaerei, la Gerald Ford e la Dwight Eisenhower.
Il sottomarino di classe Ohio fa parte della cosiddetta “triade nucleare” di armi atomiche americane, che comprende anche missili balistici terrestri e bombe nucleari a bordo di bombardieri strategici.
Come spiega Rid – Rivista italiana difesa, si tratta di uno dei quattro sottomarini Usa “a propulsione nucleare per il lancio di missili balistici intercontinentali Trident 2, dotati di testate nucleari, riconvertiti in sottomarini per il lancio di missili da crociera per l’attacco terrestre in profondità Tomahawk, dotati di testata convenzionale”. Ogni sottomarino può essere equipaggiato con 154 missili.
La potenza dei lanciamissili Usa si è vista per la prima nel marzo del 2011 in occasione dell’intervento militare in Libia, quando la Marina a stelle e strisce ha lanciato un centinaio di Tomahawk sul Paese. Come ricorda la Cnn, il sottomarino va ad aggiungersi agli asset già presenti in Medio Oriente, inclusi due gruppi da battaglia portaerei e un gruppo d’assalto anfibio
Sul fronte diplomatico, prosegue il tour nella regione, il terzo in un mese, del segretario alla Difesa americano Antony Blinken nel tentativo di disinnescare il conflitto, facendo la spola tra Iraq, Israele, Cisgiordania, Giordania, Cipro e Turchia.
Proprio questa mattina ha incontrato il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan in un momento in cui le relazioni con Israele sono ai minimi storici. Solo ieri il capo della diplomazia di Ankara ha annunciato con una nota il ritiro dell’ambasciatore a Tel Aviv, aggiungendosi alla lista dei Paesi che negli ultimi giorni hanno richiamato i propri rappresenti diplomatici – dalla Giordania al Cile – per condannare l’offensiva su Gaza. “Abbiamo discusso anche di che cosa fare per evitare che il conflitto in corso si inasprisca”, ha detto Blinken.
Ieri capo della diplomazia americana è stato a Ramallah dove ha incontrato il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, che si è impegnato a farsi carico della futura amministrazione dell’enclave: “Assumeremo pienamente le nostre responsabilità ma nel quadro di una soluzione politica globale che includa tutta la Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza“, ha detto il capo dell’Anp.
L’amministrazione guidata dal presidente Usa Joe Biden continua a perorare la soluzione dei soluzione “due Stati, due popoli”. Un obiettivo da raggiungere in tre fasi: l’eliminazione di Hamas da Gaza, la creazione di una forza internazionale di pace sotto egida dell’Onu, con militari arabi ma forse anche europei, e il passaggio del governo della Striscia all’Anp, che già amministra la Cisgiordania.
Per il dopoguerra e per rilanciare il negoziato di pace con Israele, la Casa Bianca ha deciso di scommettere su Abu Mazen, nonostante il leader sia anziano (ha 87 anni) e screditato agli occhi del suo stesso popolo. Non certo il partner ideale, ma l’unico con cui riavviare il dialogo e tentare di ricucire le profonde ferite aperte dall’attacco di Hamas e dalla risposta di Israele. “Washington crede che l’Anp debba giocare un ruolo centrale in quello che accadrà dopo Gaza”, ha detto il segretario di Stato Usa.
Nel loro colloquio di un’ora, Abu Mazen ha denunciato i bombardamenti israeliani come una “guerra genocida” e chiesto un cessate il fuoco immediato per far entrare gli aiuti umanitari. Blinken dal canto suo esclude una tregua, convinto che aiuterebbe Hamas a riorganizzarsi, e insiste piuttosto su limitate pause umanitarie per il rilascio degli ostaggi e la consegna degli aiuti, al momento “gravemente insufficiente”.
Sul terreno il conflitto va avanti con le truppe di terra che ieri hanno annunciato di aver completato l’accerchiamento di Gaza City, dividendo la Striscia in due parti. Non si fermano i raid aerei. Le forze della difesa israeliana (Idf) hanno fatto sapere si aver colpito e distrutto 450 obiettivi nelle ultime 24 ore. Secondo l’agenzia di stampa palestinese Wafa, nella notte sono state uccise almeno 27 persone tra il quartiere di Tal al-Sultan di Rafah, nel sud dell’enclave, Al-Zawaida nel centro, e il campo profughi di Jabalia. Nella Striscia intanto da ieri è di nuovo black out delle linee telefoniche e di Internet.
Intanto l’esercito di Tel Aviv ha annunciato l’apertura di un corridoio per i civili palestinesi che, dal nord della Striscia, dovrebbero spostarsi al sud per ragioni di sicurezza. Il colonnello Avichay Adrae ha precisato che il corridoio in Salah-al-Din Street sarà aperto oggi dalle 10 alle 14 ora locale. ‘‘Per la vostra sicurezza, approfittate del tempo per spostarvi a sud oltre Wadi Gaza”, ha scritto in arabo su X. Secondo il Times of Israel sarebbero circa 800mila le persone che finora sono fuggite a sud dell’enclave, mentre molti palestinesi insistono per rimanere alla luce della situazione in cui versa l sud, tra bombardamenti e crisi umanitaria.
La Striscia ormai è al collasso. Per questo 18 agenzie delle Nazioni Unite hanno rivolto un appello congiunto per la fine delle ostilità tra Israele e Hamas, ovvero ”un cessate il fuoco umanitario immediato” a Gaza, dove la situazione è ”orribile” e ”inaccettabile’‘. ”Ora basta“, scrivono i vertici delle agenzie Onu, tra cui figurano l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), il Programma mondiale alimentare (Wfp), l’Unicef e l’Ufficio per gli aiuti umanitari (Ocha), oltre a Save the Children e Care International.
”Per quasi un mese il mondo ha osservato l’evolversi della situazione in Israele e nei Territori Palestinesi Occupati, scioccato e inorridito dal numero vertiginoso di vite perse e dilaniate’‘, si legge nella dichiarazione congiunta. ”L’orribile uccisione di un numero ancora maggiore di civili a Gaza è un oltraggio, così come lo è privare 2,2 milioni di palestinesi di cibo, acqua, medicine, elettricità e carburante’‘. Ricordando le 1.400 vittime israeliane di Hamas, la nota cita il ministero della Sanità di Gaza secondo il quale ”sono state uccise quasi 9.500 persone, tra cui 3.900 bambini e oltre 2.400 donne. Più di 23mila feriti necessitano di cure immediate negli ospedali sovraffollati’‘.
Insomma, scrivono le agenzie Onu, ”un’intera popolazione è assediata e sotto attacco, privata dell’accesso ai beni essenziali per la sopravvivenza, bombardata nelle proprie case, nei rifugi, negli ospedali e nei luoghi di culto. Questo è inaccettabile’‘.
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