Torture, violenze e abusi sessuali. Per la prima volta, un prigioniero del carcere antiterrorismo di Guantánamo parla apertamente delle torture subite durante gli interrogatori della CIA, nei “Black site”, dove avvenivano i cosiddetti “interrogatori potenziati”. A parlare davanti ai giurati è Majid Khan, ex residente dei sobborghi di Baltimora, diventato un corriere di al-Qaeda, arrestato e condannato, all’indomani dell’11 settembre 2001.
Khan: “Appeso nudo a una trave del soffitto”
Sospeso nudo a una trave del soffitto per lunghi periodi, cosparso ripetutamente di acqua ghiacciata e tenuto sveglio per giorni. Per la prima volta, uno dei cosiddetti prigionieri di alto valore, è stato in grado di testimoniare su ciò che gli Stati Uniti hanno chiamato eufemisticamente “interrogatorio potenziato”. “Pensavo che sarei morto“, ha detto Khan. Con la testa tenuta sott’acqua fino quasi al punto di annegare, è stato picchiato, sottoposto a clisteri forzati, aggredito sessualmente e privato di cibo e acqua per settimane. Alcuni dei trattamenti descritti da Khan erano già emersi da un rapporto del 2014 dell’Intelligence del Senato. Il documento accusava la CIA di infliggere dolore e sofferenza ai prigionieri di al-Qaeda ben oltre i suoi confini legali. “Più collaboravo con loro, più venivo torturato“, ha detto il detenuto.
Chi è Majid Khan, il detenuto di Guantánamo
Majid Khan ha trascorso circa tre anni nei “Black Site” della CIA prima di essere portato a Guantánamo nel settembre 2006. Nel periodo trascorso nei cosiddetti “luoghi neri”, ha raccontato di non aver mai visto la luce del giorno e di non aver avuto contatti con nessuno, eccezion fatta per le guardie. Khan ha ammesso di essere un corriere per al-Qaeda e di aver preso parte alla pianificazione di diversi complotti. Si è dichiarato colpevole nel febbraio 2012 per accuse che includono cospirazione, omicidio e fornitura di supporto materiale al terrorismo. In seguito, ha stipulato un accordo che limita la sua condanna in cambio di cooperazione con le autorità in altre indagini.
Rischia fino a 40 anni di carcere
Cittadino pachistano nato in Arabia Saudita, Khan si è trasferito negli Usa con la sua famiglia negli anni ’90 e gli è stato concesso asilo. Si è diplomato al liceo nella periferia di Baltimora e ha svolto un lavoro di tecnologia nell’area di Washington. Racconta di aver abbracciato l’ideologia radicale dopo la morte di sua madre, che ha descritto come la persona più importante della sua vita. Khan si è scusato per le sue azioni e ha detto di essersi assunto la piena responsabilità. Se condannato, il detenuto rischia fino a 40 anni di carcere, ma con un patteggiamento la sentenza potrebbe essere ridotta a 11 anni.