“Distruggere Hamas, smilitarizzare Gaza, deradicalizzare l’intera società palestinese”. Con un editoriale firmato sul Wall Street Journal, Benjamin Netanyahu fissa “tre precondizioni per la pace” ribadendo la linea dura del governo israeliano.
“Una volta che Hamas sarà distrutto, Gaza sarà smilitarizzata e la società palestinese inizierà un processo di deradicalizzazione, Gaza potrà essere ricostruita e le prospettive di una pace più ampia in Medioriente diventeranno realtà“, scrive il primo ministro sul quotidiano americano. Fino ad allora, è il sottotesto, l’esercito andrà avanti a martellare la Striscia.
“In primo luogo Hamas, importante proxy dell’Iran, deve essere distrutto” e “per raggiungere questo obiettivo, le sue capacità militari devono essere smantellate e il suo dominio politico su Gaza deve finire“. La “distruzione” del movimento che controlla l’enclave palestinese, sostiene Netanyahu, “è l’unica risposta proporzionata per evitare il ripetersi” di attacchi come quelli del 7 ottobre.
Per smilitarizzare il territorio, e fare in modo che non venga “mai più usata come base per attaccare” Israele, il premier suggerisce “l’istituzione di una zona di sicurezza temporanea sul perimetro di Gaza e un meccanismo di ispezione al confine tra Gaza e l’Egitto che soddisfi le esigenze di sicurezza di Israele e impedisca il contrabbando di armi nel territorio”.
Secondo il capo di governo, infine è necessario puntare sulle scuole: “Devono insegnare ai bambini ad avere a cuore la vita piuttosto che la morte e gli imam devono smettere di predicare l’omicidio degli ebrei. La società civile palestinese deve essere trasformata in modo che il popolo sostenga la lotta al terrorismo invece di finanziarlo”. Allo scopo serve una “leadership etica e coraggiosa”, dice attaccando il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas, che “non riesce nemmeno a condannare le atrocità” di Hamas contro Israele.
Un concetto peraltro già ribadito ieri quando Netanyahu ha visitato di nuovo l’esercito nella Striscia. Ai soldati il premier ha ribadito che l’offensiva va avanti: “Non ci fermiamo. Chiunque parli di questo, non è così. Andrà avanti fino alla fine. Finché non li finiamo. Niente di meno”.
In casa però il capo di governo deve fare i conti con l’insofferenza crescente degli israeliani. Durante un discorso alla Knesset, il Parlamento israeliano, il primo ministro, di ritorno da Gaza, è stato contestato dalle famiglie degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, quando ha ammesso che per la loro liberazione servirà “più tempo”.
Ieri, nel primo messaggio pubblico dall’offensiva del 7 ottobre, il capo del movimento a Gaza Yahya Sinwar è tornato a farsi sentire ribadendo che Hamas non ha intenzione di arrendersi e di sottostare “alle condizioni dell’occupante”. In un discorso alla leadership politica di Gaza, riferita tra gli altri dal Times of Israel, Sinwar si è detto fiducioso nella vittoria contro l’esercito di Tel Aviv.
Intanto i bombardamenti sulla Striscia proseguono incessanti. Non si sono fermati neanche alla vigilia di Natale. Il 24 dicembre i raid israeliani hanno colpito due campi profughi, a l-Maghazi e Al-Bureij, nel centro dell’enclave. Il bilancio delle vittime finora è di 131 morti e 209 feriti, ha riferito Medici senza frontiere, che supporta l’ospedale di Al-Aqsa di Deir al-Balah. Metà delle vittime era costituta da donne e bambini. “Nessun luogo è sicuro a Gaza. È necessario un cessate il fuoco immediato e duraturo per evitare altri morti e feriti, per garantire la fornitura di aiuti umanitari senza ostacoli e per aumentare il supporto medico”, ha ribadito Msf.
Neppure la sede della Mezzaluna Rossa palestinese a Khan Yunis è stata risparmiata. Questa mattina i proiettili dell’artiglieria israeliana hanno colpito i piani superiori dell’edificio nel sud della Striscia di Gaza. Su X l’organizzazione ha riferito di numerosi feriti fra le migliaia di sfollati che hanno trovato rifugio nella struttura.
Il bilancio delle vittime sfiora i 21mila morti, secondo il ministero della Sanità di Gaza
Sul campo la situazione umanitaria resta drammatica. Pochi giorni fa, il World Food Program ha diffuso un report sull’insicurezza alimentare nella Striscia di Gaza. Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, oltre il 90% della popolazione soffre la fame mentre incombe la minaccia della “carestia”.
“I gazawi hanno esaurito tutte le risorse, le fonti di sostentamento sono collassate, le panetterie sono state distrutte, i negozi sono vuoti e le famiglie non trovano cibo. Le persone raccontano allo staff del Wfp di restare interi giorni a stomaco vuoto e molti adulti non mangiano per sfamare i proprio figli”, si legge.
“Non possiamo restare fermi a guardare le persone morire di fare. Gli aiuti umanitari devono entrare adesso e raggiungere tutta la Striscia mentre i civili devono poterli riceve in sicurezza”, ha detto la direttrice esecutiva Cindy McCain. “Più di ogni altra cosa, ora c’è bisogno di pace” per questo il il Programma alimentare ha reiterato la richiesta di un “cessate il fuoco umanitario”.
Come se non bastasse, a esacerbare una situazione già disperata un nuovo blackout. La società palestinese di telecomunicazioni Paltel ha annunciato un’altra interruzione della rete telefonica e di quella Internet, la quarta dall’inizio della guerra, a causa “a causa del protrarsi delle ostilità”.
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