Mentre Israele allarga e intensifica l’offensiva sulla Striscia di Gaza, l’obiettivo dichiarato e ribadito ogni giorno dal premier Benjamin Netanyahu, la “distruzione di Hamas”, resta lontano. Tel Aviv sostiene di aver eliminato finora almeno 5mila uomini del movimento palestinese. Un numero peraltro non suffragato da altre fonti e dunque da prendere con le pinze. Le operazioni delle forze di difesa israeliane e i raid non hanno però minato la struttura dell’ala militare, stimata in 30mila unità.
Secondo funzionari israeliani, ascoltati dal Washington Post, l’offensiva nel nord della Striscia sarebbe tutt’altro che conclusa. Sebbene gran parte di Gaza City sia stata rasa al suolo dagli attacchi aerei, le forze di terra devono ancora entrare in alcune delle roccaforti chiave di Hamas. “La strada è ancora lunga”, ha ammesso il tenente colonnello Richard Hecht, portavoce dell’esercito israeliano. “Abbiamo bisogno di tempo“. Gli stessi Stati Uniti, principali alleati di Israele, si aspettano “una campagna militare lunga“.
Le pressioni internazionali per ridurre al minimo le vittimi civili probabilmente influenzeranno le operazioni militari nel sud dell’enclave mentre Israele cerca di non perdere il sostegno degli Stati Uniti. Il costo è già stato devastante, con quasi 16mila palestinesi uccisi, inclusi oltre 5mila bambini, secondo il ministero della Sanità di Gaza. L’amministrazione di Joe Biden ha avvertito Israele in maniera “netta” e “diretta”: le forze di difesa non possono replicare le strategie impiegate nell’offensiva nel nord della Striscia – con intensi bombardamenti a tappeto – e devono agire per limitare i morti tra la popolazione civile.
“Penso che abbiamo raggiunto un momento in cui le autorità israeliane dovranno definire più chiaramente qual è il loro obiettivo finale”, ha detto dal canto suo il presidente francese Emmanuel Macron. “La distruzione totale di Hamas? Qualcuno pensa che sia possibile? Se è così, la guerra durerà 10 anni”.
La campagna militare si concentrerà su azioni mirate. “Le nostre operazioni saranno molto diverse da come abbiamo operato a Gaza City, perché è molto più sovraffollata”, conferma un funzionario della sicurezza israeliana. È lo scenario del resto delineato da fonti americane, citate ieri dalla Cnn: un’operazione di intensità inferiore con raid localizzati per colpire obiettivi specifici.
Secondo Micheal Milshtein, ex funzionario dell’intelligence militare di Israele, circa un terzo della città di Gaza resta sotto il controllo di Hamas, inclusi bastioni militari come Shejaiya e Jabalya. “Sarà molto dura” espugnare l’area, ammette.
Importante capire anche chi detiene il vantaggio sui tunnel. Si ritiene che Hamas disponga di centinaia di chilometri di sotterranei che serpeggiano sotto Gaza, grazie ai quali uomini e armi si muovono indisturbati. Secondo gli ufficiali militari, i tunnel scoperti finora sarebbero 800, di cui 500 già distrutti. Nessun commento invece è trapelato da Tel Aviv sulle indiscrezioni pubblicate ieri dal Wall Street Journal, secondo cui Israele starebbe valutando la possibilità di allagare i tunnel e allo scopo avrebbe assemblato “un sistema di grandi pompe”. Difficile a ogni modo valutare al momento l’impatto che l’offensiva di Israele ha avuto sul sistema dei tunnel. Anche perché molti sono profondi decine di metri e collegati a reti più ampie. Secondo Micheal Horowitz della società di consulenza Le Beck International, circa un terzo sarebbe ancora intatto.
Nonostante due mesi di intensi combattimenti, Hamas inoltre è ancora in grado di lanciare razzi verso Israele. Certo, il numero si è ridotto in modo significativo, dalle migliaia dell’inizio del conflitto alle poche decine al giorno. Eppure, osserva ancora Horowitz, appare improbabile che le forze di Tel Aviv riescano a distruggere l’interno arsenale di cui dispone il movimento palestinese.
Quanto all’“esercito” di cui dispone Hamas, le stime oscillano tra i 27mila e i 40mila uomini. Ma a Israele, più che i soldati semplici, interessa decapitare la leadership. A cominciare da Yahya Sinwar, il capo di Hamas a Gaza che l’esercito israeliano ritiene sia la mente dietro gli attacchi del 7 ottobre e descrive non a caso come un “morto che cammina“.
Intanto a Gaza la situazione resta drammatica. Martin Griffiths, sottosegretario generale dell’Onu per gli Affari umanitari (Unocha), ha parlato di “apocalisse” descrivendo il calvario delle persone a cui “viene ordinato di spostarsi di nuovo, con poco con cui sopravvivere”. Nella Striscia, ha detto, “nessun luogo è sicuro. Né gli ospedali, né i rifugi, né i campi profughi”. Allo stesso modo, “nessuno è al sicuro. Non lo sono né i bambini, né gli operatori sanitari né quelli umanitari”. Per questo l’alto funzionario delle Nazioni Unite è tornato a chiedere un’immediata fine delle ostilità.
Un appello a cui si somma quello del Programma alimentare mondiale. “La ripresa delle ostilità a Gaza non farà altro che intensificare la catastrofica crisi alimentare che già minaccia di sopraffare la popolazione civile”, si legge in una nota dell’agenzia Onu. I bombardamenti “rendono quasi impossibile la distribuzione degli aiuti e mettono in pericolo la vita degli operatori umanitari. Soprattutto, è un disastro per la popolazione civile di Gaza, più di due milioni di persone, la cui unica ancora di salvezza è l’assistenza alimentare“.
Lunedì solo 100 camion carichi di aiuti umanitari e 69mila litri di carburante sono entrati a Gaza attraverso il valico di Rafah, ha fatto sapere l’Unocha. Numeri “ben al di sotto” di quelli registrati durante la pausa umanitaria. Con le operazioni di terra israeliane ora concentrate nel sud di Gaza, “non esistono” le condizioni per fornire aiuti, spiega il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per i territori palestinesi Lynn Hastings. In zone come Khan Younis la distribuzione è stata “in gran parte interrotta” a causa dei raid.
Decine di migliaia di palestinesi in fuga verso Rafah non hanno un posto dove stare e si accampano nelle strade e in altre aree all’aperto “dove montano tende e ripari di fortuna“. Senza contare che tutti i servizi di telecomunicazione a Gaza sono stati interrotti lunedì sera e le organizzazioni umanitarie temono che il nuovo blackout possa ostacolare ulteriormente l’assistenza umanitaria.
Intanto il numero degli sfollati interni ha raggiunto quota 1,9 milioni, pari a oltre l’85% dell’intera popolazione di Gaza. Di questi, quasi 1,2 milioni hanno trovato riparo nelle strutture gestite dall’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa), sparse nell’enclave, inclusi il nord della Striscia e Gaza City.
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