Dopo aver stazionato per giorni davanti al valico di Rafah, questa mattina finalmente sono entrati i primi convogli con gli aiuti umanitari per la popolazione della Striscia di Gaza, stremata da due settimane di assedio totale, a corto di cibo, acqua, farmaci e carburante. Dopo l’ingresso dei camion, il varco, l’unico punto di accesso all’enclave non controllato da Israele, è stato chiuso nuovamente.
In collegamento con il summit per la pace che ha riunito al Cairo oltre venti Paesi, Italia inclusa, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha parlato del “paradosso” a cui ha assistito in presa diretta difronte al valico blindato: “Da una parte camion pieni, dall’altra stomaci vuoti”.
Dei 50 camion in attesa al valico, ne sono entrati solo venti. Gli aiuti umanitari includono farmaci, forniture sanitarie e una quantità limitata di scorte alimentari ma non il carburante, escluso da Israele nel timore che venga requisito da Hamas. Prima dell’assedio imposto da Israele, in media ogni giorno 450 camion rifornivano la popolazione con generi di prima necessità.
Secondo Hamas, che controlla l’enclave dal 2007, sono una goccia nel mare: “Questo convoglio limitato non sarà in grado di cambiare il disastro umanitario che sta vivendo la Striscia di Gaza“, ha commentato il capo dell’ufficio comunicazioni Salama Maruf. “È importante stabilire un corridoio sicuro che funzioni 24 ore su 24 per soddisfare i bisogni umanitari e i servizi essenziali che non ci sono più e per consentire ai feriti di partire per ricevere cure“.
Martin Griffiths, coordinatore delle operazioni umanitarie dell’Onu, ha lasciato aperto un spiraglio sulla riapertura del valico: “C’è la possibilità che domani possano arrivare altri aiuti”, ha detto in un’intervista su Al Jazeera. “Speriamo che gli aiuti possano entrare ogni giorno e che possa diventare un’operazione a larga scala efficiente e affidabile”. Griffiths ha insisto sulla necessità che gli aiuti includano il carburante.
Dopo due settimane di raid incessanti e assedio, Gaza è sull’orlo del collasso, hanno ribadito in un appello congiunto cinque agenzie delle Nazioni Unite, a cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il Programma Alimentare Mondiale (WFP) e l’Unicef. “La situazione umanitaria a Gaza era disperata prima delle recenti ostilità. Oggi è catastrofica“. Critica in particolare la condizione negli ospedali, “sopraffati” dai feriti e mentre si stanno esaurendo i farmaci e il carburante per alimentare i generatori che tengono accessi i macchinari salvavita.
Intanto i raid sulla Striscia proseguono senza soluzione di continuità. E anche il bilancio delle vittime continua a salire. Secondo il ministero della Sanità di Gaza, il numero dei morti sfiora quota 4.400 mentre i feriti sarebbero quasi 13.600. Unicef stima in 1.600 i bambini che hanno perso la vita dall’inizio del conflitto e in 4.200 quelli feriti.
Secondo l’esercito israeliano, sono circa 700mila le persone, su 1,1 milioni nel nord di Gaza, che si sono spostate verso le zone meridionale, dopo l’ordine di evacuazione diramato da Tel Aviv.
L’esercito israeliano ha rivisto al rialzo il numero degli ostaggi nelle mani di Hamas, dopo la liberazione “per motivi umanitari” di due donne con cittadinanza statunitense.
Intanto resta accesso anche il fronte settentrionale al confine con il Libano. Un soldato israeliano della riserva militare delle forze israeliane, l’Idf, è morto, e altri tre sono rimasti feriti, in un attacco con un missile anticarro nei pressi di Margaliot, nel nord del Paese.
“Hezbollah ha deciso di unirsi ai combattimenti, stiamo facendo pagare loro un prezzo pesante“, ha detto il ministro israeliano della Difesa, Yoav Gallant a proposito dei miliziani sciiti del “Partito di dio”, alleato di Hamas e dell’Iran.
Il vertice convocato dal presidente egiziano Abdelfattah al-Sisi si è concluso senza dichiarazione finale. Non è stato raggiunto un consenso unanime tra i partecipanti. I rappresentanti occidentali “volevano che la dichiarazione includesse solo una condanna del movimento di Hamas, mentre si rifiutavano di condannare Israele per l’uccisione di migliaia di civili a Gaza, o di chiedere un cessate il fuoco urgente e l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia assediata”, come chiedevano i Paesi arabi e musulmani.
C’era anche il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen (Mahmoud Abbas) al summit del Cairo. “Non lasceremo mai la nostra terra“, ha detto il capo dell’Anp. “Vogliamo affermare che siamo contro, e denunciamo, l’uccisione di civili da entrambe le parti e invochiamo il rilascio degli ostaggi da entrambe le parti”.
L’anziano leader ha denunciato gli attacchi contro la popolazione civile nell’enclave. “I palestinesi affrontano l’aggressione e l’ostilità dell’esercito di Israele, che vìola i princìpi del diritto internazionale, mirando a ospedali, scuole, centri di rifugio per i civili, case. Denunciamo il pericolo di fare evacuare civili dalle case, dalla Cisgiordania e da Gerusalemme, non l’accetteremo mai. Dal primo giorno abbiamo chiesto che sia fermata questa barbara aggressione e che ci sia l’apertura di corridori umanitari per consentire agli aiuti di entrare nella Striscia di Gaza, ma il governo di Israele non lo ha consentito”.
Il summit ha avuto almeno il merito di porre le basi per rilanciare la formula “due popoli e due Stati”, prevista dagli accordi di pace di Oslo del 1993 e mai realizzata. “Serve il ritorno al tavolo di negoziazione per un cessate il fuoco e l’applicazione della soluzione dei due Stati che convivono pacificamente fianco a fianco, nel rispetto del diritto internazionale”, ha detto il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. La via verso la pace, ha ribadito, passa attraverso “la proclamazione dello Stato palestinese”.
Il capo di Stato ha poi ribadito “il rifiuto allo spostamento forzato dei palestinesi. Chi pensa che il popolo palestinese voglia lasciare la propria terra si sta sbagliando”.
Anche il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha evocato la “soluzione dei due Stati” come “unica speranza di pace. È arrivato il tempo di agire. Agire per mettere fine a questo incubo orribile”. Il numero uno dell’Onu ha ribadito che “nulla può giustificare” l’assalto sferrato da Hamas contro Israele lo scorso 7 ottobre. Allo stesso tempo l’attacco non legittima una “punizione collettiva” contro il popolo palestinese.
Per l’Italia era presente la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. “Il terribile attacco di Hamas si è abbattuto contro civili inermi con una efferatezza senza precedenti che lascia allibiti e che dal nostro punto di vista è giusto condannare senza ambiguità“, ha detto ribadendo la posizione del governo italiano nei confronti di Israele, “uno Stato è pienamente legittimato a rivendicare il proprio diritto alla difesa, all’esistenza, alla sicurezza dei propri cittadini e confini”.
Sulle persone ancora nelle mani di Hamas, “siamo molto preoccupati per la sorte degli ostaggi, ci sono anche degli italiani, chiediamo l’immediato rilascio degli ostaggi”, ha aggiunto la premier che dopo il vertice si è recata a Tel Aviv per incontrare il primo ministro Benjamin Netanyahu e il presidente israeliano Isaac Herzog.
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