Sono almeno 15 i Paesi, Italia inclusa, che finora hanno deciso di sospendere i finanziamenti a favore dell’Unrwa, l’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, finita al centro della bufera dopo le accuse mosse da Israele su un presunto coinvolgimento di alcuni membri dello staff nell’assalto del 7 ottobre messo a segno da Hamas. E così ieri le principali agenzie delle Nazioni Unite – dall’Oms all’Unicef passando per l’Unhcr – hanno diffuso un comunicato congiunto per lanciare l’allarme sulle “conseguenze catastrofiche per la popolazione” della Striscia: “La revoca dei fondi è pericoloso e porterebbe al collasso del sistema umanitario”. Per questo invitano a “riconsiderare la decisione” e a “non abbandonare la popolazione di Gaza”.
Le colpe di pochi, sostengono, non possono ricadere su “un’intera organizzazione impedendole di assolvere al proprio mandato”, che è quello di assistere una popolazione stremata da quasi quattro mesi di guerra. “Centinaia di migliaia di persone sono senza una casa e sull’orlo della carestia”, scrivono. Nessun altro, spiegano, ha la capacità di assistere 2,2 milioni di persone “in disperato bisogno” come ha fatto finora l’Unrwa, che resta la più grande organizzazione sul campo.
Parole a cui hanno fatto eco quelle di 21 Ong – incluse ActionAid, Oxfam e Save the Children – che si sono dette “profondamente preoccupate e indignante” dalla “decisione irresponsabile di tagliare una linfa vitale per una popolazione intera”.
La decisione arriva peraltro a pochi giorni dalla sentenza dell’Aja. “Tutti gli Stati hanno il chiaro dovere di garantire l’attuazione delle decisioni della Corte internazionale di giustizia, comprese quelle che ordinano a Israele di adottare misure immediate ed efficaci per garantire la fornitura di assistenza umanitaria ai civili palestinesi a Gaza, considerato un passo fondamentale per prevenire il genocidio e ulteriori danni irreparabili”, ha ricordato la segretaria generale di Amnesty International Agnès Callamard.
L’Agenzia guidata da Philippe Lazzarini, che ha immediatamente disposto il licenziamento immediato dei dodici dipendenti accusati e avviato un’indagine interna, ha già fatto sapere che non sarà in grado di continuare le operazioni nell’enclave e in tutta la regione oltre la fine di febbraio se i finanziamenti non verranno ripristinati.
Oltre all’Italia, finora i Paesi che hanno sospeso i loro finanziamenti sono, gli Stati Uniti, l’Australia, il Regno Unito, il Canada, la Finlandia, la Francia, la Germania, l’Austria, la Romania, il Giappone, i Paesi Bassi, la Nuova Zelanda, la Norvegia e la Svizzera.
Fondata nel 1949, la United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East rappresenta un’àncora di salvezza per 5 milioni di rifugiati palestinesi sparsi tra Gaza, Cisgiordania, Giordania, Libano e Siria. Nata come soluzione temporanea dopo la prima guerra arabo-israeliana del 1948, seguita alla nascita dello Stato di Israele, l’agenzia negli anni si è radicata sul territorio diventando un punto di riferimento per milioni di persone. Una conseguenza legata al prolungarsi del conflitto mediorientale.
Grazie agli oltre 30mila dipendenti, fornisce beni e servizi essenziali come assistenza sanitaria e istruzione. La sua presenza è particolarmente importante nella Striscia, dove la quasi totalità della popolazione dipende dagli aiuti umanitari. L’Unrwa costruisce e gestisce scuole, cliniche, rifugi e campi da gioco in tutto il territorio. Distribuisce cibo, acqua e farmaci. Fornisce assistenza abitativa e prestiti di emergenza oltre a gestire la raccolta dei rifiuti. È uno dei maggiori datori di lavoro nell’enclave, con 13mila impiegati, la maggior parte dei quali palestinesi.
Un ruolo divenuto ancora più essenziale da quando Israele ha avviato la campagna militare come rappresaglia contro Hamas. L’Unrwa si è assunta la responsabilità primaria di dare un riparo agli sfollati di Gaza, quasi il 90% della popolazione. Lo ha fatto convertendo scuole, cliniche e uffici in rifugi di emergenza oltre ad allestire campi profughi.
In prima linea per assistere i civili della Striscia, i suoi operatori umanitari hanno pagato un tributo di sangue senza precedenti, con oltre 150 dipendenti morti. Senza contare le strutture, almeno 140, distrutte o danneggiate dai bombardamenti.
L’Unrwa finanzia le proprie attività quasi interamente attraverso donazioni degli Stati membri delle Nazioni Unite. Come riporta il sito web dell’agenzia, circa il 90% degli 1,17 miliardi di dollari raccolti nel 2022 provengono infatti da contributi volontari, con gli Usa in cima alla lista con oltre 343 milioni di dollari, seguiti da Germania e Unione europea. L’Italia lo scorso anno ha donato poco più di 18 milioni.
Finanziamenti ai quali vanno aggiunti i fondi erogati dal budget delle Nazioni Unite e da altre agenzie dell’Onu, per un totale di 44,6 milioni, e quelli provenienti dalle partnership con le aziende e dalle donazioni individuali dei privati, poco più di 15,4 milioni di dollari.
Del resto non è la prima volta che l’Unrwa entra nel mirino di Israele. È solo l’ultimo capitolo della disputa con lo Stato ebraico, che accusa da tempo l’agenzia di essere collusa con il movimento palestinese che amministra la Striscia dal 2006. “Lo abbiamo detto per anni: Unrwa non fa altro che peggiorare il problema dei rifugiati, ostacolare la pace e fungere da spalla per Hamas a Gaza. Unrwa non è la soluzione, molti dei suoi dipendenti sono vicini ad Hamas”, sostiene il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz.
Unrwa ribatte all’accusa evidenziando l’impossibilità pratica di agire sul territorio senza un coordinamento con l’organizzazione palestinese che controlla la Striscia. Accuse che anche le Nazioni Unite hanno respinto con decisione al mittente, sottolineando l’importanza del lavoro svolto sul capo dalle migliaia di operatori umanitari.
Non è la prima volta l’Unrwa si vede tagliare i fondi. Nel 2021 era stata l’Unione europea a negare una cospicua parte dei finanziamenti, dopo la “mancata rimozione dai testi scolastici di contenuti che incitano all’antisemitismo e alla violenza“. Tre anni prima l’allora presidente americano Donald Trump aveva messo in seria difficoltà l’agenzia azzerando i fondi per via del “modello di business sbagliato” che serve solo a “una comunità che si espande senza fine”. Una posizione in linea con il premier Benjamin Netanyahu, secondo cui l’Unrwa “mantiene volontariamente vivo il problema dei profughi“.
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