Fra i timori della popolazione, le proteste dei pescatori e l’opposizione della Cina, giovedì inizieranno le operazioni di sversamento in mare dell’acqua di raffreddamento della centrale di Fukushima, colpita nel 2011 da uno dei peggiori disastri nucleari del mondo. Lo ha annunciato oggi il premier Fumio Kishida. Il piano è stato approvato due anni fa dal governo giapponese e lo scorso luglio ha ottenuto il via libera dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea).
Negli ultimi dodici anni, da quando un violento terremoto e lo tsunami che ne è seguito hanno distrutto tre dei reattori della centrale nucleare di Fukushima-Daiichi, l’operatore Tokyo Electric Power Company (TEPCO) ha raccolto 1,34 milioni di tonnellate di acqua – pari a oltre 500 piscine olimpioniche – utilizzata per raffreddare ciò che resta dei reattori ancora altamente radioattivi.
La TEPCO afferma che l’acqua è stata diluita e filtrata per rimuovere tutte le sostanze radioattive tranne il trizio, i cui livelli sono tuttavia molto al di sotto della soglia considerata pericolosa.
Tokyo dal canto suo ha fatto sapere che i primi risultati dei test effettuati sull’acqua potrebbero essere disponibili già all’inizio di settembre.
Nel rapporto diffuso lo scorso luglio l’Aiea, l’organismo di vigilanza nucleare delle Nazioni Unite, afferma che il piano soddisfa gli standard internazionali e che l’impatto sulle persone e sull’ambiente sarà “trascurabile”.
Del resto il rilascio delle acque contaminate in mare è una pratica di routine per gli impianti nucleari. “Le centrali nucleari di tutto il mondo hanno regolarmente scaricato acqua contenente trizio per oltre 60 anni senza danni alle persone o all’ambiente, la maggior parte a livelli più elevati”, ha spiegato Tony Irwin, professore associato onorario presso l’Università Nazionale Australiana.
“L’acqua rilasciata sarà una goccia nell’oceano, sia in termini di volume che di radioattività. Non ci sono prove che questi livelli estremamente bassi di radioisotopi abbiano un effetto dannoso sulla salute”, ha spiegato l’esperto di patologia molecolare Gerry Thomas, ha fornito consulenza all’AIEA sui rapporti di Fukushima.
Malgrado Tokyo insista che lo sversamento sia sicuro, la Cina è sul piede di guerra. Pechino ha bollato la decisione del Giappone come “egoista e irresponsabile” e ha accusato Tokyo di utilizzare l’oceano Pacifico come una “fogna” in violazione degli “obblighi morali e legali internazionali”. Il Paese ha quindi chiesto di annullare il piano nipponico in favore di un accordo tra i Paesi della regione e gli organismi internazionali.
“La Cina è seriamente preoccupata e fortemente contraria”, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin annunciando che Pechino “adotterà tutte le misure necessarie per salvaguardare l’ambiente marino, la sicurezza alimentare e la salute pubblica“.
Sulla stessa linea Hong Kong. La città-Stato cinese ha minacciato lo stop all’import di pesce dal Giappone e ha già fatto sapere che attiverà “immediatamente” controlli sulle importazioni di prodotti ittici proveniente da alcune zone, incluse la capitale Tokyo e Fukushima. Ad annunciare la misura è stato il capo dell’esecutivo di Hong Kong John Lee. “La sicurezza alimentare e la salute pubblica a Hong Kong sono le priorità essenziali del nostro governo”.
Anche le associazioni ambientalisti si oppongono al piano del governo giapponese. A cominciare da Greenpeace Giappone, secondo cui la decisione di sversare l’acqua “radioattiva” nell’Oceano Pacifico “non tiene conto delle prove scientifiche, vìola i diritti umani delle comunità in Giappone e nella regione del Pacifico, non è conforme al diritto marittimo internazionale” e ignora “le preoccupazioni della popolazione, compresi i pescatori”.
Fuori dal coro, Seul che cerca di coltivare le relazioni col Giappone. La Corea del Sud ha fatto sapere di non opporsi al piano giapponese ma ha avvertito che chiederà a Tokyo di fermare immediatamente l’operazione se nelle acque vicine verranno rilevate concentrazioni di materiale radioattivo superiori agli standard internazionali.
In Patria il governo giapponese deve fare i conti anche con l’opposizione agguerrita delle cooperative dei pescatori che temono ulteriori danni all’industria ittica dopo il colpo inferto dal disastro del 2011, con un calo del giro di affari pari al 20 per cento.
In Italia a manifestare preoccupazione è stata Coldiretti anche se il nostro Paese importa poco più di 120mila chili di prodotti ittici dal Giappone ogni anno, meno dello 0,02% sul totale dell’import.
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