Un comunista, un ultranazionalista e un presunto liberale sono i tre candidati al Cremlino contro Putin alle elezioni presidenziali in Russia
È tempo di elezioni presidenziali in Russia, dove dal 15 al 17 marzo i cittadini sono chiamati alle urne per scegliere il prossimo numero 1 del Cremlino con Vladimir Putin alla ricerca del quinto mandato.
Se si esclude l’unico candidato contrario al proseguimento della guerra in Ucraina, Boris Nadezhdin, saranno tre i rivali di Putin: si tratta di tre deputati che siedono tutti in Parlamento che ufficialmente stanno all’opposizione, mentre nei fatti non hanno mai ostacolato le politiche del Cremlino.
Del presidente uscente, Putin, si sa praticamente tutto: 71 anni, capo del Cremlino dal 31 dicembre del 1999, è stato sia presidente che premier.
L’attuale mandato presidenziale è il quarto ed è stato eletto capo di Stato per la prima volta il 26 marzo 2000 e poi nel 2004, 2012 e 2018.
Dopo la riforma costituzionale con l’azzeramento dei mandati, ha potuto ricandidarsi per un terzo mandato consecutivo. Potrebbe rimanere al potere fino al 2036, diventando il leader russo più longevo della storia.
Tra i suoi sfidanti c’è Leonid Slutsky, 56 anni e leader del Partito liberaldemocratico (Ldpr) che è stato eletto presidente del partito nazionalista e di estrema destra alla fine di maggio 2022 dopo la morte del fondatore del partito Vladimir Zhirinovsky durante la pandemia di Covid 19.
“La causa di Zhirinovsky è viva”, si legge nei cartelloni elettorali di Slutski, un chiaro tentativo di approfittare della spinta che aveva il defunto leader ultranazionalista e che imita lo slogan sovietico “la causa di Lenin è viva”.
Il vicepresidente della Duma di Stato, laureato in economia, sostiene la campagna militare russa in Ucraina, che ha descritto come una “lotta geopolitica decisiva contro il nazismo, che deve essere vinta”.
Deputato dal 2003, legato alla leadership del Patriarcato di Mosca, è conosciuto come l'”Harvey Weinstein” russo: sul suo capo pende un’accusa di molestie sessuali denunciata da tre giornaliste nel marzo del 2018, si tratta di: Farida Rustamova, Daria Zhuk ed Ekaterina Kotrikadze.
La Commissione etica della Duma, la Camera bassa del Parlamento, lo ha scagionato dichiarando di non aver riscontrato violazioni nel comportamento di Slutsky: “Voglio scusarmi con quelle ragazze nel modo più sincero se ho detto o fatto qualcosa che le ha ferite”, ha detto in seguito. Dopo l’invasione dell’Ucraina ha fatto parte del gruppo negoziale della Russia con l’Ucraina.
Passiamo poi a Nikolai Kharitonov, 75 anni nonché candidato più anziano al Cremlino oltre che volto noto a Putin: oltre a essere un deputato del Partito Comunista, parteciperà alle presidenziali per la seconda volta dopo che, nel 2004, era arrivato secondo dietro lo zar, ottenendo il 13,69% dei consensi.
La sua candidatura è stata arrivata direttamente dai vertici del partito. Negli anni ’90 Kharitonov era membro del Partito agrario russo e nel 2007 si è unito al Partito comunista. È capo della commissione parlamentare per lo sviluppo dell’Estremo Oriente russo e dell’Artico.
Promette di abbassare l’età pensionabile, aumentare il salario minimo, ridurre le tasse e nazionalizzare gli asset stranieri, le principali banche e le aziende nei settori chiave dell’economia. Sostiene la campagna militare in Ucraina e dichiara che l’unico modo per concluderla è con la “schiacciante sconfitta dell’Ucraina”.
Ex presidente di una sovkhoz (azienda agricola statale sovietica) nella Siberia occidentale, sostiene che “la Russia ha solo due alleati: il suo esercito e la sua marina”, riprendendo – ironia della sorte per un comunista – una citazione dello zar Alessandro III. –
Infine Vladislav Davankov, il più giovane tra i candidati che compirà 40 anni proprio il 17 marzo. Membro del Partito Nuovo Popolo, è vicepresidente della Duma di Stato.
La sua ascesa è iniziata nel 2018 quando è stato nominato vicedirettore dell’organizzazione no-profit “Russia, il paese delle opportunità”, creata su iniziativa di Putin per promuovere diversi progetti nazionali.
Cinque anni dopo si candidò alle elezioni del sindaco di Mosca, nelle quali ottenne il 5,34% dei voti. Promotore alla Duma di leggi come quella che vieta il cambio di sesso, Davankov si definisce difensore dei valori tradizionali.
Due giorni prima dell’inizio delle azioni belliche, il 22 febbraio 2022, Davankov ha difeso il riconoscimento dell’indipendenza delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk.
“Il presidente (Putin) ha preso la decisione giusta. La democrazia è quando discutiamo e dibattiamo fino a quando non viene presa una decisione. Ma una volta presa la decisione, dobbiamo agire”, ha detto poi. Per quanto riguarda il conflitto in Ucraina, il suo programma è categorico: “Pace e negoziati. Ma alle nostre condizioni, non si torna indietro”.
Come per gli altri candidati proposti da partiti rappresentati in Parlamento, non ha dovuto raccogliere firme a suo sostegno. Prima di entrare in politica, Davankov era impegnato nell’imprenditoria. Nel 2023, ha partecipato alle elezioni per il sindaco di Mosca, arrivando quarto con il 5,34% dei voti.
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