“Dieci secondi e sarei morto“. L‘inviato del Tg1 Matteo Alviti è sfuggito per miracolo all’attacco dei miliziani di Hamas su Ashkelon, al confine con la Striscia di Gaza, ripreso dalle telecamere mentre era in onda nell’edizione delle 13 del telegiornale. Il cronista era insieme all’operatore Maurizio Calaiò e alla producer Sahera Dirbas, quando diversi razzi hanno colpito l’area dell’Hotel Regina nel quale alloggiavano.
L’impatto è avvenuto a poca distanza dall’auto sulla quale si trovavano solo pochi secondi prima. Il veicolo è stato danneggiato mentre un altro mezzo che si trovava nelle vicinanze è stato distrutto. “La nostra macchina è stata investita da schegge Siamo usciti poco secondi prima che cadesse il missile. Sono ovviamente saltati gli airbag, ci sono ancora le chiavi infilate nel cruscotto”, ha raccontato l’inviato in un servizio andato in onda nell’edizione delle 20, mostrando le immagini dell’auto e della zona colpita.
Raggiunto per telefono, Alviti ha rassicurato sulle condizioni di tutta la troupe. “Stiamo tutti bene. Come spesso accade è suonato l’allarme e abbiamo pochi secondi per raggiungere zona del bunker, perché Gaza è a soli 10 chilometri e i razzi ci mettono pochissimo ad arrivare qui”.
Secondo il giornalista, “l‘attacco all’hotel non è probabilmente un caso. “Abbiamo assistito a una telefonata anonima in arabo nella quale l’uomo diceva: se fossi in voi, me ne andrei“.
Se l’inviato della Rai è sano e salvo, non è andata altrettanto bene ai giornalisti locali che stanno raccontando il conflitto esploso lo scorso sabato. Finora si contano almeno sette report uccisi nella Striscia di Gaza. Altri due sono stati feriti e altrettanti risultano dispersi. Sono tutti palestinesi. A tenere il conto delle vittime della stampa è il Cpj, il Comitato per la protezione dei giornalisti.
Ieri è morto anche il terzo reporter, Saeed al-Taweel, direttore di Al-Khamsa News, rimasto coinvolto insieme a due colleghi dell’agenzia Khabar, Mohammed Sobih e Hisham Nawajhah, nell’attacco aereo israeliano che ha colpito un edificio residenziale che ospita diverse testate, nel distretto di Rimal, nella zona occidentale di gaza.
“Milioni di persone nel mondo fanno affidamento sui report della regione per avere informazioni accurate sul conflitto. I giornalisti, al pari dei civili, devono essere rispettai e protetti”, ha detto Sherif Mansour, responsabile del programma Medio oriente e Nord africa dell’organizzazione non profit.
Prima di loro a perdere la vita erano stati, il primo giorno dell’offensiva, Mohammad Al-Salhi (foto giornalista dell’agenzia Fourth Authority), Mohammad Jarghoun (reporter di Smart Media) e Ibrahim Mohammad Lafi (fotografo di Ain Media). Lunedì scorso invece è morta la giornalista Salam Mema, insieme al marito e ai tre figli, sotto i colpi di un raid israeliano nel campo profughi di Jabalia nel nord della Striscia.
Complice la guerra in Ucraina, il tributo di sangue pagato dai media lo scorso anno è stato eccezionalmente alto. Secondo l’ultimo rapporto della Federazione internazionale dei giornalisti, nel 2022 i reporter e gli operatori dell’informazione uccisi sono stati 68, 21 in più rispetto all’anno precedente.
Il Paese in cui si è verificato il numero maggiore di vittime è l’Ucraina, dove 12 tra cronisti e loro collaboratori hanno perso la vita nel tentativo di raccontare la guerra. Seguono il Messico e Haiti, rispettivamente con 11 e 7 giornalisti assassinati.
L’America centrale, con 30 morti, è il Continente con il più alto numero di vittime al mondo. Il Messico in particolare mantiene il triste primato di Paese più pericoloso della regione e tra i peggiori al mondo per la sicurezza dei giornalisti, preda della perdurante “guerra” tra i cartelli della droga.
Oltre agli operatori dell’informazioni uccisi, non vanno dimenticate le centinaia di giornalisti attualmente in prigione. Secondo il Cpj, sono in tutto 375 quelli dietro le sbarre nel mondo. A primeggiare in questa triste classifica è la Cina con 75 cronisti detenuti, seguita dal Myanmar con 64, dalla Turchia con 51 e dall’Iran con 34.
Secondo il rapporto di Reporters Without Borders, sono 1.668 i giornalisti uccisi negli ultimi venti anni. La Russia, con 25 morti, resta il Paese europeo con il maggior numero di cronisti uccisi negli ultimi vent’anni. Solo pochi giorni, il 7 ottobre, si è celebrato l’anniversario dell’omicidio di Anna Politkovskaja, freddata il 7 ottobre 2006 davanti alla porta del suo appartamento a Mosca.
Gli uomini rappresentano più del 95% dei decessi. Dal 2012, 52 giornaliste sono state uccise, in relazione alle loro inchieste sui diritti delle donne. Negli ultimi due decenni, gli anni più peggiori coincidono con l’inizio del conflitto in Siria: tra il 2012 e il 2013, hanno perso la vita 286 reporter.
Negli ultimi venti anni, paradossalmente, i contesti di guerra sono diventati luoghi più “sicuri” per la professione rispetto alle “zone di pace”, dove a essere presi di mira sono i cronisti che conducono inchieste scomode sul crimine organizzato e sulla corruzione. Come documenta Reporter senza Frontiere, oltre il 60% dei giornalisti uccisi sono morti in Paesi non in guerra. A cominciare dal Messico, con il 20% del numero totale registrato a livello globale.
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