È stato tutto, meno che facile, ma alla fine i Repubblicani ce l’hanno fatta: Mike Johnson è il nuovo speaker della Camera. La sua elezione è arrivata dopo settimane di tensioni e divisioni all’interno del partito. Partito che, allo stesso tempo, è riuscito però ad eleggerlo alla prima votazione, con tutti i voti dei Repubblicani, cosa che non era avvenuta con gli altri tre precedenti candidati. Johnson sostituisce, così, Kevin McCarthy, sollevato dal suo incarico, una prima volta nella storia degli Stati Uniti. La figura del nuovo speaker è, però, di quelle che fanno discutere, viste le sue posizioni ultraconservatrici.
Johnson è un deputato della Louisiana. È figlio di un pompiere, che un incidente sul lavoro rese disabile quando lui aveva 12 anni, ed è stato il primo della sua famiglia ad andare all’università e laurearsi. Ha 51 anni ed è al quarto mandato alla Camera, ma non è un volto noto a livello nazionale. Fuori dal suo Stato, prima dell’elezione a speaker, erano in pochi a conoscerlo. Allo stesso tempo, ha esperienze parlamentari limitate, non avendo mai guidato un comitato o una commissione all’interno della Camera. A preoccupare e far discutere sono, però, le sue posizioni politiche. Johnson, infatti, fa parte della parte più estremista del partito Repubblicano: è un cristiano evangelico, è molto vicino a Donald Trump e ha idee radicalmente contrarie ad aborto e diritti delle persone LGBT+.
Il suo legame con Trump è molto forte. Lo ha sempre affiancato e ha sempre difeso le sue istanze, comprese quelle poi rivelatesi false dei brogli durante le elezioni del 2020. Proprio per questo la sua nomina è una vittoria per l’ala trumpista del partito.
Come detto, l’elezione di Johnson non è stata di certo una passeggiata per il partito Repubblicano. Ci sono volute, infatti, parecchie settimane prima di convergere sulla sua figura nel disperato tentativo di trovare una soluzione alle spaccature interne. Senza speaker, infatti, i lavori del Congresso non possono proseguire e ogni attività è, quindi, congelata. Il rischio concreto, scongiurato dall’elezione di Johnson, è stato per giorni quello di dover chiedere una mediazione al partito Democratico. Sarebbe stata una prima volta assoluta nella storia degli Stati Uniti.
Alla fine, però, la figura di Johnson ha messo d’accordo tutti, anche l’ala meno oltranzista del partito. Il motivo? Non di certo i suoi ideali, che appartengono, come già spiegato, alla parte più radicale dei Repubblicani. A funzionare è, di contro, la sua immagine. Il partito cercava, infatti, qualcuno che riuscisse ad accontentare anche la sua parte meno estremista, anche a livello di linguaggi e di comunicazione. Come spiega Il Post, Johnson è perfetto in questo senso. Pur sostenendo le tesi più radicali dell’estrema destra Repubblicana, Johnson è, infatti, descritto da tutti come una persona dai “modi gentili”, decisamente meno aggressivo della gran parte dei colleghi a lui politicamente più vicini. Questa caratteristica e il fatto di essere di fatto una seconda scelta anche per la minoranza più combattiva del partito lo ha reso un candidato accettabile anche per i Repubblicani relativamente più moderati.
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