“Je suis Charlie”. Impossibile dimenticare queste parole. Riportate, indelebili, sulle prime pagine di tutti i principali quotidiani e scritte sui social di mezzo mondo. Sono passati più di cinque anni da quando la redazione di Charlie Hebdo, il giornale satirico francese, subì un attacco terroristico nel quale persero la vita dodici persone e altre undici rimasero ferite il 7 gennaio 2015. Fu la pubblicazione di alcune caricature di Maometto a trasformare la sede del periodico nel bersaglio dei terroristi. Alla vigilia dell’apertura del processo per l’attentato, Charlie Hebdo ha deciso di ripubblicare quelle vignette per rendere omaggio alle vittime e sfidare gli integralisti. “Non chineremo la testa, non rinunceremo mai”, dichiara il direttore Laurent Sourisseau (in arte Riss).
Le vignette che trasformarono il periodico francese in un bersaglio apparvero per la prima volta nel settembre 2005 sul quotidiano danese Jyllands-Posten. La loro pubblicazione causò una grave crisi diplomatica internazionale tra l’Occidente e i Paesi arabi. Charlie Hebdo le riprese l’anno successivo in segno di solidarietà. In due delle caricature, Maometto era rappresentato con una bomba al posto del turbante e intento a brandire una scimitarra in modo minaccioso. In seguito, Cabu, uno dei fumettisti morti nell’attentato nel 2015, realizzò un’altra vignetta su Maometto, che venne giudicata blasfema da alcune associazioni islamiche e portò a un processo, nel quale però i disegnatori vennero assolti. Negli anni precedenti all’attentato, gli integralisti continuarono a minacciare Charlie Hebdo e in un’occasione diedero fuoco alla sede del giornale.
Sul nuovo numero di Charlie Hebdo i redattori hanno deciso di riproporre le le vignette del Jyllands-Posten, affiancate a una caricatura inedita di Maometto, realizzata da Cabu. Si intitola “Tout ça pour ça”, traducibile come “Tanto rumore per nulla”. Il giornale spiega di aver ricevuto in più occasioni la richiesta di pubblicare altre vignette di Maometto.”Ci siamo sempre rifiutati di farlo, non perché sia proibito, la legge ce lo permette, ma perché ci serviva un buon motivo per farlo, un motivo che avesse senso e che portasse qualcosa al dibattito“.
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