Il governo belga ha deciso di votare sull’introduzione a livello nazionale di una settimana lavorativa di quattro giorni. Il governo esaminerà la proposta la prossima settimana in quella che è l’ultima mossa verso un futuro lavorativo più flessibile in Europa. Il Belgio si unisce così a un dibattito sul tavolo da tempo ma che ha guadagnato terreno in Europa con la pandemia di Covid-19. Un periodo che, nonostante le problematiche, ha mostrato le possibilità di organizzare il lavoro in modo diverso. Ma ci sono preoccupazioni in merito all’introduzione di orari di lavoro più lunghi come compromesso per dare ai dipendenti il giorno in più di riposo.
Tutti i partiti politici belgi hanno concordato di discutere la proposta per una settimana di quattro giorni. Tuttavia, non vi è alcuna intenzione di ridurre il numero complessivo di ore lavorate dai dipendenti.
Il Parlamento punta infatti a mantenere le 38-40 ore lavorate dai dipendenti a tempo pieno ed estendere la giornata lavorativa esistente a 9,5 ore. Questo in cambio della concessione ai dipendenti di un giorno libero in più. Tuttavia, il sindacato socialista belga è fortemente contrario all’idea secondo il quotidiano De Morgen. Il sindacato ritiene infatti che i dipendenti a tempo pieno dovrebbero semplicemente lavorare meno ore a settimana.
Le voci critiche sottolineano soprattutto il fatto che il carico di lavoro giornaliero aumenterebbe allungando la giornata lavorativa, dalle attuali 7 ore e 36 minuti a 9 ore e mezza. Una soluzione che non necessariamente sarebbe meglio per il benessere del lavoratore, per l’equilibrio tra lavoro e vita privata, soprattutto per i genitori con figli a scuola e nemmeno per la produttività.
Questa proposta distingue il concetto di lavoro flessibile del Belgio da quelli dell’Islanda e della Spagna. In questi Paesi il giorno libero in più viene concesso ai dipendenti semplicemente tagliando il numero di ore lavorate in una settimana.
I partiti e i sindacati belgi ora chiedono che la proposta nel Paese segua le linee adottate con successo negli altri Paesi.
Il caso più eclatante è quello dell’Islanda. Il Paese tra il 2015 e il 2017 ha registrato una riduzione dell’orario di lavoro nel settore pubblico da 40 a 35 ore settimanali. La ripartizione delle ore lavorative su quattro giorni è avvenuta senza riduzione salariale. A questo sono state abbinate misure per migliorare la produttività, eliminando ad esempio compiti superficiali e riducendo la durata delle riunioni.
Il risultato è stato un miglioramento del benessere e dell’equilibrio tra lavoro e vita privata per i dipendenti. Parallelamente la produttività è stata mantenuta o addirittura aumentata, secondo un’analisi del think tank Anatomy. Questo “successo” ha portato i sindacati a negoziare una riduzione dell’orario di lavoro per l’86% della forza lavoro del Paese.
In generale, i programmi pilota gestiti da governi e imprese in paesi come Islanda, Nuova Zelanda, Spagna e Giappone hanno evidenziato risultati molto promettenti. Secondo diversi studi, i lavoratori hanno riportato un aumento della produttività compreso tra il 25% e il 40%, nonché un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata.
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