La Russia vuole vietare la vendita di Barbie. Nonostante sia nata nel 1959, la bambola ideata dalla Mattel è ancora oggi un’icona mondiale. In queste settimane, poi, è tornata in auge grazie al film con Margot Robbie e Ryan Gosling. Non a tutti, però, Barbie sembra piacere. C’è, infatti, chi la accusa di non essere in linea con i valori del suo Paese. E, per dirla tutta, non è nemmeno la prima volta…
A mettere Barbie nel mirino è stata, nei giorni scorsi, Maria Butina, membro del Comitato per gli affari internazionali della Duma di Stato russa. La donna si è detta “categoricamente contraria alla presenza di Barbie nei nostri negozi“, identificandole come “bambole che promuovono relazioni omosessuali“. Secondo Butina, Barbie è “il motore dell’agenda Lgbt, inaccettabile in Russia in base alla legge che vieta la propaganda Lgbt“. Il riferimento è alla legge firmata da Putin nel 2013 che vieta la propaganda Lgbt tra i bambini. Butina non si è comunque fermata alla sola invettiva. Ha anche avanzato una controproposta: imporre che, quando si acquistano bambole per bambini, ci si rivolga soltanto a fabbriche russe. Il motivo? Queste realizzano prodotti in linea con i messaggi corretti che lo Stato vuole diffondere tra i suoi cittadini.
Non è, comunque, la prima volta che Barbie finisce nel mirino di qualche Governo. I precedenti sono diversi. Uno dei più recenti risale al 2018 e riguarda il Messico. All’epoca, però, fu soprattutto una questione di diritti d’immagine. La Mattel, infatti, decise di produrre una bambola con le sembianze di Frida Kahlo. La Barbie andò a ruba e le vendite schizzarono alle stelle sia negli Stati Uniti sia in Messico, Paese d’origine dell’artista. Gli eredi di Frida si rivolsero, però, a un tribunale per chiedere di fermare la produzione della bambola. Tribunale che diede ragione alla famiglia. Il motivo? Secondo il tribunale la famiglia è l’unica titolare dei diritti di immagine di Frida. Per questo motivo né Mattel né Frida Kahlo Corporation (né altre aziende) possono commercializzare la bambola.
“La bambola avrebbe dovuto essere molto più messicana, con un colore di pelle più scuro, il monosopracciglio e meno magra, perché Frida non era così“. Così aveva commentato allora l’ereditiera universale di Kahlo, Mara Cristina Teresa Romero Pineda.
Se in Messico, come abbiamo visto, si trattò di una questione meramente d’immagine, lo stesso non si può dire di quanto accadde in Iran. Serve tornare indietro ancora di qualche anno, nel 2012. All’epoca gli ayatollah iraniani individuarono nella bambola Mattel uno dei simboli della dissolutezza dell’occidente e per questo motivo ne vietarono la circolazione e la vendita sul territorio iraniano. Vennero chiusi moltissimi negozi di giocattoli, colpevoli soltanto di aver esposto la Barbie in vetrina. Centinaia di bambole vennero sequestrate. Non si trattava, comunque, di una prima volta. Già negli anni ’90, sempre in Iran, era partita una violenta battaglia contro le Barbie. La bambola promuoveva, infatti, un’immagine di donna distante da quella voluta dal regime. Non solo venne tolta dal mercato, ma vennero create anche delle “anti-Barbie”. Sara e Dara, due bambole vestite in maniera più consona agli ideali di Teheran.
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