Non solo in Russia si muore in carcere: a pochi giorni dalla morte di Alexei Navalny la stessa sorte è toccata a un dissidente bielorusso, Ihar Lednik, deceduto mentre si trovava in stato di detenzione per accuse di diffamazione in una prigione di Minsk. Senza dubbio non il migliore dei biglietti da visita in vista delle elezioni parlamentari che si sono svolte oggi, domenica 25 febbraio, in Bielorussia. Il risultato è ovviamente scontato, ma il voto segnerà un passaggio importante per il paese guidato con il pugno di ferro da Alexander Lukashenko dal 1994.
In primo luogo, si tratta della prima chiamata alle urne per i cittadini bielorussi dalle elezioni presidenziali dell’agosto 2020, i quali sancirono, sì, la permanenza al potere per un sesto mandato del vassallo di Vladimir Putin, ma che furono poi seguite da mesi di proteste in tutto il territorio nazionale a cui il regime rispose con migliaia di arresti e con una spirale di ulteriore repressione dei diritti civili che prosegue ininterrotta ancora oggi.
Per provare a rendere ancora più ermetica la propria presa sul potere, Lukashenko nel dicembre 2023 ha imposto l’approvazione di una legge che gli fornisce una sostanziale immunità a vita contro eventuali procedimenti penali e, soprattutto, impedisce ai leader dell’opposizione residenti all’estero di candidarsi.
Un nome su tutti: quello di Sviatlana Tsikhanouskaya, diventata una delle figure di spicco della dissidenza bielorussa dopo l’arresto del marito che si era candidato alle presidenziali del 2020 e che da quell’anno vive in Lituania.
È inoltre in vista uno sviluppo istituzionale molto importante: dopo le elezioni, verrà infatti creata l’Assemblea Popolare Bielorussa.
Composto da circa 1.200 personalità nominate dalle autorità regionali e nazionali, l’organismo sarà ovviamente presieduto da Lukashenko e avrà autorità su tutti i rami del governo: potrà annullare il risultato delle elezioni presidenziali, introdurre la legge marziale oppure annullare le decisioni dell’esecutivo.
Una via di mezzo tra le istituzioni che guidano la Repubblica Popolare cinese e il comitato centrale del fu partito comunista sovietico: obiettivo del 69enne dittatore di Minsk, garantire che la sua successione avvenga nel modo più controllato e “armonioso” possibile.
Inoltre, sempre in data odierna, Lukashenko ha affermato che si ricandiderà alle elezioni presidenziali del 2025, annunciandolo in un seggio elettorale dopo aver votato.
Il regime bielorusso guarda anche alla sfera internazionale con il discutibile concetto di pacifismo armato che viene costantemente esaltato da Lukashenko, il quale sta provando a far passare il messaggio che la sua figura abbia impedito alla Bielorussia di essere interessata dal conflitto russo-ucraino e, in contemporanea, la necessità che il paese si armi per difendersi dalle crescenti minacce esterne.
Nel frattempo il rapporto con Putin diventa sempre più saldo: l’ultimo delle decine di incontri che negli ultimi anni i due leader hanno intrattenuto si è svolto a San Pietroburgo a fine gennaio, dove sul tavolo c’era l’ulteriore espansione della stretta alleanza che interessa i paesi, dopo che a ottobre scorso Lukashenko ha annunciato la conclusione del processo di dispiegamento di un certo quantitativo di armi nucleari russe – il cui numero esatto è sconosciuto – sul territorio bielorusso.
È invece noto il numero dei combattenti del gruppo Wagner tuttora distaccati in Bielorussia, dopo la loro fuga dalla Russia in seguito al fallito colpo di stato del giugno scorso: si tratterebbe di circa mille uomini, dagli 8mila iniziali, che proseguono la loro collaborazione con l’esercito di Minsk.
Una presenza che fa gioco a Putin, considerando che l’Ucraina è costretta a mantenere un significativo contingente lungo il confine con la Bielorussia per fare fronte a eventuali incursioni.
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