Il golpe che ieri ha deposto il presidente del Gabon, Ali Bongo Ondimba, appena rieletto per un terzo mandato, è l’ultimo di una crescente lista di colpi di Stato messi a segno di recente nel Sahel e in Africa occidentale. La presa del potere da parte dei militari arriva a solo un mese da quello in Niger, e si aggiunge a quelli che dal 2020 a oggi hanno minato il processo democratico in Mali, Guinea, Burkina Faso e Ciad.
Il putsch di Libreville, l’ottavo in tre anni, rischia di aggiungere altra benzina all’instabilità della regione, le cui origini sono complesse e non ascrivibili a un solo fattore. Quelli che normalmente vengono indicati dagli analisti sono, in misura variabile, tutti presenti. L’avanzata dei gruppi jihadisti, l’influenza della Russia esercita perlopiù attraverso il gruppo Wagner, una “epidemia” di golpe e, soprattutto, lo sfaldamento della relazione speciale tra Parigi e le sue ex colonie francesi.
A poche ore dalla rielezione del presidente Ali Bongo Ondimba, al potere da 14 anni, ieri i militari hanno annunciato sulla tv di Stato del Gabon l‘annullamento del voto e lo scioglimento di “tutte le istituzioni” del Paese centroafricano, mettendo fine al regno che – passato di padre in figlio – durava incontrastato da oltre mezzo secolo.
I sospetti di brogli elettorali sono stati la goccia che ha rotto gli argini dopo anni di governo col pugno di ferro in un Paese ricco di risorse naturali dove un terzo della popolazione vive in condizioni di povertà e la disoccupazione giovanile ha sfondato quota 40%.
Solo un mese fa c’era stato il golpe in Niger che ha esautorato il presidente Mohamed Bazoum e portato alla guida del Paese la giunta militare del generale Abdourahamane Tchiani. La situazione è ancora sospesa con l’Occidente che rischia di perdere l’ultimo alleato affidabile nella regione del Sahel sul fronte della lotta al terrorismo di matrice islamica.
Per ora i tentatvi da parte da parte dell’Ecowas (la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) di reinstallare il presidente deposto non sono serviti, inclusa la minaccia di un “intervento militare”. I golpisti, forti anche del sostegno di Mali e Burkina Faso, restano saldi al potere.
Stessa sorte era toccata proprio al Burkina Faso nel gennaio del 2022, quando l’esercito ha esautorato il presidente Roch Kabore, accusato di non aver saputo contenere l’avanzata delle milizie islamiche.
A distanza di appena sette mesi anche il leader dei golpisti Paul-Henri Damiba, che aveva garantito di ripristinare la sicurezza nel Paese, è stato deposto a propria volta da un golpe delle forze armate e sostituito dal generale Ibrahim Traore, tuttora a capo della giunta militare che guida il Burkina Faso.
Stesso copione nel settembre del 2021, quando il comandante delle forze speciali Mamady Doumbouya ha deposto il presidente della Guinea Conakry Alpha Conde, che l’anno prima aveva cambiato la Costituzione per assicurarsi un terzo mandato, provocando proteste in tutto il Paese.
Dopo le sanzioni imposte dall’Ecowas, incluso il congelamento dei conti bancari, la giunta guidata da Doumbouya ha annunciato un piano di transizione per ristabilire la democrazia entro gennaio 2025. I partiti di opposizione tuttavia accusano i golpisti al potere di non aver compiuto alcun passo concreto verso il ripristino dell’ordine costituzionale.
Pochi mesi prima, in aprile, era stata la volta del Ciad. Dopo la morte del presidente Idriss Deby, ucciso negli scontri tra esercito e ribelli pochi giorni dopo la rielezione per il sesto mandato, una giunta miliatre ha preso il potere dissolvendo il Parlamento.
A prendere il posto del defunto capo di Stato il figlio Mahamat Idriss Deby, tuttora presidente ad interim del governo di transizione che secondo i piani originari avrebbe dovuto portare a nuove elezioni entro 18 mesi.
In Mali due colpi di Stato si sono susseguiti a distanza di soli nove mesi l’uno dall’altro.
Il primo, nell’agosto del 2020, ha deposto il presidente Ibrahim Boubacar Keita, dopo l’ondata di proteste popolari che hanno travolto il governo ritenuto incapace di arginare la violenza dei gruppi jihadisti. Al suo posto una giunta militare guidata daI colonnello Assimi Goita, che sotto la pressione dei Paesi vicini e intense trattative ha accettato di cedere il potere a un governo ad interim che in 18 mesi avrebbe condotto il Paese al voto.
Ma già nel maggio del 2021 le tensioni tra i militari e l’esecutivo di transizione hanno condotto a un secondo golpe, che ha riportato il colonnello Goita sullo scranno di presidente.
Secondo il piano concordato con l’Ecowas, il Mali dovrebbe tornare alle urne per eleggere un nuovo presidente nel febbraio del 2024.
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