Sarebbero potute fuggire dalle bombe di Putin, ma ci sono state invece delle donne che hanno deciso di restare, di resistere, di combattere per la loro amata Ucraina. Ognuna aiuta come può: accudendo bambini malati o soli, curando i feriti, cucendo divise per i soldati, cucinando pasti caldi per chi combatte. Ma anche imbracciando i fucili per respingere l’avanzata russa. E, purtroppo, perdendo la vita.
Valentyna, Maryna, Anastasiia, Iryna. In questo 8 marzo, giornata internazionale dei diritti della donna, sono proprio loro alcune delle donne che sono diventate uno dei simboli della resistenza dell’Ucraina. Emblema di un popolo coraggioso e pieno di orgoglio.
Valentyna Pushych ha scelto di non scappare. Paramedico, era soprannominata da tutti “Romashka”, che significa “margherita”. Anche se in realtà chi la conosceva la descrive come una donna “temeraria”. “Non aveva paura di trovarsi in mezzo ai proiettili, correva sempre nei posti più pericolosi”, raccontano di lei. Lavorava in un’azienda di trasporti e logistica, ma nel 2016 aveva deciso di arruolarsi nell’esercito come paramedico. È stata uccisa lo scorso 5 marzo dalle forze russe mentre cercava di evacuare i feriti dalla periferia di Kiev. Romashka è stata sepolta sotto una coltre di rose rosse. La sua tomba è stata ricoperta da una bandiera gialla e blu: quella dell’Ucraina.
Anche Maryna Kalabina, dottoressa, aveva deciso di restare. La sua auto è stata presa di mira mentre trasportava il nipote ferito in ospedale dal villaggio di Kukhari, a 50 miglia dal centro di Kiev. Maryna lavorava come anestesista presso il Centro medico scientifico e pratico di Cardiologia pediatrica e Cardiochirurgia per bambini. A dare la notizia, cinque giorni fa, il ministro della salute Viktor Liashko: “Oggi i terroristi russi hanno tolto la vita a un medico, Maryna Kalabina. Un medico di Dio”, ha scritto il politico sui social.
Ma in questo 8 marzo, tra le tante storie commoventi di donne che hanno lottato in difesa dell’Ucraina, ce ne sono almeno altre due che vale la pena raccontare. Anastasiia Yalanskaya non era esattamente una ‘combattente’ nel senso militaresco del termine. 26 anni, era un’attivista per i diritti civili, ed è stata uccisa mentre stava consegnando cibo a un canile a Bucha, a 20 miglia dalla capitale. Gli animali erano rimasti senza mangiare per tre giorni. La giovane aveva deciso di restare nei pressi della Capitale per fare volontariato, nonostante molti altri colleghi e amici avessero già lasciato la città. La sua auto è stata presa di mira da una distanza ravvicinata e lei è morta sul colpo.
E poi c’è Iryna Tsvila. Madre di cinque figli, artigiana di gioielli, aveva imbracciato un Ak-47 per opporsi all’avanzata dei tank russi. È stata uccisa insieme al marito Dmytro. Entrambi erano diventati riservisti dell’esercito ucraino nel 2014, all’inizio del conflitto del Donbass. Era entrata in un battaglione chiamato “Sich” mentre il marito faceva parte del battaglione “Aidar”. Agli amici raccontavano di essere disposti a tutto pur di difendere il loro Paese. Quest’anno la Festa della donna vuole essere dedicata anche (e soprattutto) a loro.
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