In America è vissuto così il 13, in Italia lo stesso destino ricade sul 17. Il venerdì 17, da che mondo è mondo, è nel nostro immaginario collettivo un giorno caratterizzato da una iella nera. Da esorcizzare in ogni modo possibile, sfondando in certi casi addirittura il muro silenzioso della trivialità e dell’amor proprio. Si pensi al rito scaramantico in “Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio” di Lino Banfi. Che, nudo nella vasca, si concesse un bagno tra latte e ortaggi per proteggersi dalla malasorte.
E se ci aggiungiamo il fatto che il 2020 è anno bisestile (altro motivo di ansia per molti) e che il mondo è sotto lo scacco dell’emergenza Coronavirus, allora capiamo perché oggi “corna di bue e latte scremeto” potrebbero andare per la maggiore.
Ma perché proprio venerdì 17? Le ragioni sono diverse, e molto antiche. Tanto da poter essere definite anche ancestrali.
Il motivo del venerdì è presto detto: è frutto della cultura cristiana, specialmente cattolica. Il venerdì è infatti il giorno della morte di Gesù, che quindi secondo la superstizione mischiatasi generazione dopo generazione alla fede, per qualche ora proteggerebbe in maniera “meno intensa” i suoi fedeli. Ecco perché, come dice anche un antico adagio, storicamente gli italiani di venerdì preferiscono non fissare le proprie nozze o una partenza importante.
Passiamo quindi al numero 17. Qui bisogna risalire ai greci e ai romani. Per i primi il 17 era un numero semplicemente “imperfetto”: fu Pitagora a rendersi conto che tra il 16 e il 18 (che rappresentano i quadrilateri 4×4 e 3×6), si trova proprio il povero 17. Un numero che non è né carne né pesce, insomma.
Qualche secolo dopo, poi, nell’Antica Roma si iniziò a scrivere sulle tombe “VIXI”: sono vissuto. Peccato che le stesse lettere, organizzate in altro modo, conducessero a XVII. Per chi è poco avvezzo ai numeri romani, ebbene sì, si tratta proprio del nefando 17.
Romanità e Cristianesimo andarono poi a fondersi e mischiarsi, rendendo Saturnalia e Quirinalia (due antiche feste pagane) una vera e propria celebrazione del demonio. Da debellare quindi dal calendario, cancellandone il più possibile la memoria. E il calendario quando le prevedeva? Manco a dirlo, rispettivamente il 17 dicembre e 17 febbraio.
Una scaramanzia presto tramutatasi in autentico terrore popolare, tanto da dare vita anche a un termine apposito: la eptacaidecafobia, che affligge coloro che di fronte a un venerdì 17 provano una reale sensazione di panico. O anche in presenza del semplice 17 preso da solo. Tradizione resa moderna dalla Smorfia Napoletana, in cui il 17 è la “Disgrazia”, e portata ai giorni nostri perfino da Alitalia. Che dopo essersi accorta che le file 17 rimanevano spesso invendute, ha deciso di eliminarle dai propri velivoli.
Perché “né di venere né di marte ci si sposa, né si parte”. Men che meno se c’è un 17 di mezzo.
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