Podcast: cos’è, come si fa e perché sempre più big lo scelgono

La comunicazione e i suoi metodi di diffusione continuano ad evolversi. Il fenomeno è da un certo punto di vista fatale e dall’altro completamente naturale, tenendo conto dello sviluppo delle tecnologie e soprattutto delle richieste del mercato. Ossia i cittadini, che fruiscono delle informazioni nelle modalità che ritengono più adeguate ai loro gusti e le loro esigenze. E proprio per questi motivi non sorprende il fatto che un colosso editoriale come il Gruppo Gedi abbia deciso di lanciare un ricchissimo catalogo di podcast.

Il progetto del Gruppo Gedi

Il giorno del lancio è stato giovedì 20 gennaio, con tanto di annuncio su tutte le testate del gruppo editoriale. “Oggi è il giorno di One Podcast, la nuova app che spalanca un universo: l’intera offerta audio del Gruppo Gedi, unica per qualità e dimensioni. Le firme de La Stampa, la Repubblica, L’Espresso, L’HuffPost e delle altre testate del Gruppo, insieme con i più importanti personaggi, conduttori e amici di Radio Deejay, Radio Capital e m2o, sono i protagonisti di un vastissimo catalogo di serie audio che diventa accessibile a tutti, in qualunque momento e su ogni dispositivo“, vi si legge.

Il progetto fa inevitabilmente l’occhiolino alle nuove tecnologie. I vari prodotti saranno infatti reperibili non tramite mezzi tradizionali come la carta, la tv o addirittura la normale navigazione su internet via pc. Bensì tutto è raccolto e distribuito tramite applicazioni per dispositivi mobile. “L’app – spiega la nota – è scaricabile gratuitamente da Apple Store e Google Play per qualunque device iOS e Android e raccoglie e organizza i podcast prodotti dalle redazioni giornalistiche delle diverse testate. Nei momenti in cui non si ha voglia o tempo di leggere, ecco che i giornali parlano. Raccontano e spiegano. Al centro, prima di tutto, i grandi temi dell’attualità“.

Che cosa è il podcast

Vediamo però di capire esattamente che cosa sia un podcast. Il termine nasce dalla fusione di due termini inglesi, il primo a richiamare un semplice contenitore e il secondo la sua trasmissione (“broadcast“). Si tratta di una tecnologia esplosa grazie alla diffusione del formato RSS, che permise dai primi anni Duemila di distribuire contenuti web in maniera particolarmente facile e leggera. Questo rese possibile produrre file dapprima di testo, e poi audio e anche video dalla facilissima circolazione.

Questi nuovi, leggeri modi di produrre contenuti multimediali stuzzicarono l’attenzione degli addetti ai lavori. Che ne intuirono le potenzialità prima ancora di darne addirittura una definizione corretta e finale. Primo ad occuparsene, storicamente, si ritiene sia stato Ben Hammersley, giornalista di ‘The Guardian’. Quest’ultimo presentò in un articolo del 12 febbraio 2004, dal titolo ‘Audible Revolution’, il nuovo prodotto. E fu il primo non a chiamarlo podcast, ma a ipotizzarne un nome del genere a titolo quasi provocatorio.

Un’ascesa irresistibile

Si trattava all’epoca di semplici file MP3, ascoltabili su iPod e con la grande novità di avere interi palinsesti completamente in digitale. E questo non era ancora mai successo. “Come chiamarli? Audioblog? Podcast? GuerillaMedia?“, domandò e si domandò Hammersley. “La seconda che hai detto!“, avrebbe risposto il Quèlo di Corrado Guzzanti. E il nome fu coniato.

Già nel 2005 il dizionario statunitense New Oxford proclamò “Podcast” parola dell’anno, e il 2006 consacrò la prima stella mondiale della neonata modalità di comunicazione. Era Adam Curry, un veejay della versione statunitense di MTV. Proprio lui aprì il primo sito personale di grandissimo successo ad ospitare questo tipo di trasmissioni, ulteriore riprova di un interesse di tv e radio per questo nuovo universo. Con le prime figure che ben presto vi travasarono.

Per circa un decennio il fenomeno rimase però legato a una certa nicchia, per poi vivere un’escalation nel 2014 grazie a “Serial”. Da allora si sono diffuse sempre più piattaforme che permettono di registrare e poi trasmettere podcast di ogni tipo, natura e argomento. Tanto da finire, nel corso del tempo, anche sotto l’ombrello di colossi come Google, Amazon, Spotify, Apple.

Podcast e streaming: che cosa cambia

Non bisogna però fare confusione tra il podcast e lo streaming. Quest’ultimo, infatti, avviene tramite un collegamento online, in diretta o meno. Ma con la trasmissione che avviene in ogni caso e necessariamente tramite una connessione internet. Il primo, invece, è fruibile in qualsiasi momento in quanto viene registrato e può essere successivamente scaricato, salvato in memoria e riprodotto. Non è raro, quindi, che un podcast sia un contenuto precedentemente mandato in diretta in streaming.

Già nel 2020 l’istituto di ricerca Ipsos ha verificato che ogni mese il 30% degli italiani ha ascoltato almeno un podcast. Si tratta di un numero in forte crescita rispetto al 2019 (+4%), ultimo anno però senza la pandemia. Resta il fatto che tanti utenti stanno iniziando a preferire questi prodotti rispetto a quelli più tradizionali. Tanto che nel 2020 il 61% degli spettatori ha seguito gli episodi per intero. Solo un anno prima, questa percentuale arrivava al 45%. L’attenzione è quindi sempre più alta, e anche i grandi gruppi editoriali ormai l’hanno capito.

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