Il Covid non monopolizza (quasi) più i media e, allo stesso tempo, cresce l’attenzione per i temi dell’inclusione. Il Coronavirus è passato dal 46% di notizie nel 2020 al 25% nel 2021. La narrazione di storie diverse, che spaziano dall’identità di genere all’orientamento sessuale e affettivo, fino a età, etnia e disabilità, sale del 6%. Attenzione, però: non c’è moltissimo da festeggiare. Con questo incremento si ritorna infatti (con un’incidenza di notizie totali del 23%) ai livelli pre-pandemia. È il quadro tratteggiato da Monia Azzolini dell’Osservatorio di Pavia nel suo report annuale su come trattano certi argomenti i mezzi di informazione italiani. La ricerca ha analizzato 42.572 notizie andate in onda nelle edizioni prime time dei 7 principali Tg dal 1° gennaio al 31 dicembre 2021.
Si parla, quindi, dell’anno solare che ci siamo appena lasciato alle spalle, quando ancora la guerra in Ucraina non aveva spostato di nuovo l’attenzione mediatica verso un unico grande tema. Una certezza è che l’informazione televisiva italiana si riconferma saldamente politico-centrica. Lo dimostra il caso del dibattito intorno al popolarissimo Ddl Zan, in cui nell’81,7% dei casi sono stati interpellati come esperti esponenti del mondo politico e solo nel 2,8% rappresentati della comunità Lgbtq+.
Per quanto riguarda la disabilità, si notano dati incoraggianti. Merito delle Paralimpiadi di Tokyo che hanno spinto un racconto diverso e più puntuale sugli atleti. Questo per quel che riguarda l’informazione. “Nella fiction italiana, invece”, spiega Francesca Vecchioni, “sulla rappresentazione della disabilità c’è ancora un grande vuoto, se ne parla poco e male, troppo spesso in modo pietistico e paternalistico”. Anche se nel complesso i prodotti di intrattenimento battono pure questa volta l’informazione e si confermano, anche nel 2021, più attenti al racconto delle diversity.
L’analisi condotta dal Diversity Media Watch su oltre 180 programmi sottolinea che nel 2021 vince il racconto delle generazioni giovani, protagoniste di tante produzioni cinematografiche, seriali e digitali. Da segnalare che la serialità internazionale registra un’ulteriore evoluzione, verso una sempre maggiore inclusività anche dietro la macchina da presa. C’è stato infatti il coinvolgimento di registi, sceneggiatori e produttori appartenenti a gruppi sottorappresentati.
Ancora indietro le trasmissioni italiane più tradizionali. “Nei programmi tv mainstream”, conclude Vecchioni, “le persone sono ancora troppo spesso narrate e non protagoniste dei propri racconti. Sono l’oggetto, non il soggetto. Manca ancora un’espressione della diversità inserita naturalmente nell’offerta mediatica e libera da schemi e registri stereotipati. Segno, probabilmente, che la produzione televisiva, rispetto ad altri canali come le serie, i prodotti digitali o i podcast, per esempio, sia più portata a ritenere il proprio target meno capace di comprendere alcune tematiche legate alla diversità”. Perché se la diversità è un fatto, l’inclusione è il risultato di una scelta.
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