In Italia ci sono tantissimi piccoli paesi, anche poco abitati, che conservano nel tessuto urbano e nel nome un’eredità storica potentissima. Tarquinia nell’alto Lazio è uno di questi. Tre dei sette re di Roma vennero da qui, in rappresentanza della dinastia etrusca (Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo) e qui, tra le altre cose, troverete una necropoli etrusca inserita nel Patrimonio mondiale dell’UNESCO (in accoppiata a quella della vicina Cerveteri).
L’aria etrusca si respira ancora, nelle tradizioni, nei resti architettonici, nei nomi di luoghi e persone e l’influenza di questa civiltà rivive anche nelle storie dei singoli che scelgono di tenerne memoria quotidiana nelle loro attività.
È quanto ha deciso di fare anche Marco Muscari Tomajoli, quando ha pensato ai nomi dei vini prodotti nei due ettari di vigna che guardano il mare della costa tirrenica dalla collinetta della Bandita San Pantaleo, protetti dai venti freddi del nord dalla Selva della Roccaccia.
Ha scelto il nome Velca per il suo vino rosato da uve montepulciano, la donna – Velia Spurinna, sposata Velcha- di cui si ammira ancora il volto nella Tomba dell’Orco (IV sec. a.C.) della necropoli di Monterozzi, così come scelse il nome Nethun, sempre di derivazione etrusca, per il suo bianco a base vermentino.
La vigna da cui provengono le uve per i vini dell’Azienda Muscari Tomajoli è una vera e propria “vigna su terra di famiglia”, impiantata solo circa quindici anni fa, su terreni che furono strappati all’inaccessibilità grazie alla voglia di radicarsi del bisnonno materno, di ritorno dalla prima guerra mondiale. A lui fu assegnata, in quanto reduce di guerra, una delle prime quote della riforma agraria di Tarquinia e ciò che ne venne fuori all’epoca fu un’agricoltura di sussistenza per la famiglia. Attività agricola che fu ampliata dal nonno di Marco, anche lui di ritorno da una guerra mondiale, questa volta la seconda.
A un periodo di florida espansione nel campo dell’ortofrutta, ne seguì uno di abbandono dovuto a una progenie tutta al femminile. Fu solo nei primi anni duemila che Sergio Muscari Tomajoli -il papà di Marco venuto a mancare nel 2016, troppo presto- dopo aver lavorato all’estero, soprattutto in Francia, appassionandosi alla viticoltura di pregio, decise di attivarsi per l’impianto di una vigna tutta sua, scegliendo proprio l’appezzamento alla Bandita San Pantaleo. Nel 2007 nasce l’azienda vitivinicola, recuperando anche i casali in pietra abbandonati, riattati a cantina e a locali di accoglienza; al 2014 risalgono i primi imbottigliamenti, dopo circa dieci anni di sperimentazioni condotte dapprima in garage, vinificando piccole partite di uva acquistate nella vicina Maremma, e poi in campo e in cantina con l’enologo Gabriele Gadenz, formatosi alla scuola del toscano Maurizio Castelli.
La linea di sangue continua con Marco e sta a lui oggi, a distanza di cento anni, continuare a preservare la terra che fu del suo bisnonno materno. Lo sta facendo tirando fuori da lì, con una agricoltura attenta, biologica e sostenibile, alcuni tra i migliori vini prodotti nella Tuscia e nel centro Italia: accanto al rosato da montepulciano Velca e al vermentino Nethun, anche un rosso a base petit verdot denominato Pantaleone.
In vigna solo rame e zolfo, nessun utilizzo di prodotti sistemici e mai glifosati ed erbicidi ma solo utilizzo dello sfalcio manuale tra i filari; nessun impianto di irrigazione, nonostante la zona calda, soprattutto in estate, lasciando il compito del sollievo idrico solo all’acqua piovana; rese di uva per ettaro bassissime, che non superano mai i 50 quintali per ettaro.
Dopo aver fatto subito centro già con la sua prima annata in bottiglia, la 2016, il Velca, nelle vendemmie a seguire, ha confermato nel bicchiere la qualità del progetto. Lo fa anche nell’annata 2019. A più di un anno di distanza dalla vendemmia troverete nel bicchiere un vino dal colore rosato a ricordo della buccia della cipolla ramata, ottenuto dalla vinificazione in bianco delle uve montepulciano, sottoposte a una brevissima criomacerazione (non supera le due ore). Tutta la lavorazione è svolta in acciaio, inibendo lo svolgimento della fermentazione malolattica con il controllo della temperatura per preservare il contributo di freschezza da portare nel calice. Il vino sosta per la maturazione in acciaio almeno sei mesi prima dell’imbottigliamento.
Linearità e pulizia accompagnano i ritorni di fiori di campo essiccati e quelli di bacche di rosa canina, di timo e radici; la vena fruttata del montepulciano si fa viva al gusto, pieno e appagante su sapori di ciliegia, di polpa e buccia. Abbinatelo a primi piatti a base di verdure stagionali: in inverno sulla pasta e broccoli, in estate sulla pasta con melanzane e zucchine. Vi ripagherà con il suo orgoglio rustico e la sua genuina grinta fruttata.
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