Da scettici, se non proprio negazionisti, a contagiati dal coronavirus. Donald Trump è soltanto l’ultimo della lista di leader che, in principio, avevano sminuito o addirittura negato l’impatto della pandemia di Covid-19. Poi si sono ritrovati ad affrontare in prima persona la diagnosi di positività. Oltre al tycoon americano, protagonista sin da marzo di dichiarazioni controverse riguardanti il modo in cui affrontare l’epidemia, hanno fatto scalpore nei mesi scorsi le positività di Boris Johnson, primo ministro del Regno Unito, e Jair Bolsonaro, discusso presidente del Brasile.
Lo scetticismo iniziale di Donald Trump
La posizione di Donald Trump sulla pandemia è stata controversa soprattutto nelle prime settimane. Il presidente americano aveva più volte dimostrato il suo scetticismo di fronte all’evoluzione della pandemia. In questo periodo, soprattutto, si è reso protagonista di continui botta e risposta con l’immunologo Anthony Fauci (volto di punta della task force americana per studiare gli effetti del Covid-19) e si è lasciato andare ad endorsement non supportati dalla scienza. Hanno fatto il giro del mondo l’invito all’utilizzo di idrossiclorochina per prevenire il contagio e quello, pericolosissimo, (poi ritirato e classificato come “sarcasmo”) ad utilizzare mezzi come la candeggina per sfuggire al virus.
Trump si è visto spesso senza mascherina in pubblico e ha preso parte a comizi che hanno radunato migliaia di persone, sottovalutando l’importanza del distanziamento sociale. Soltanto nelle ultime settimane sembra aver cambiato idea, almeno pubblicamente. Ha giustificato il suo atteggiamento dei mesi precedenti con l’intenzione di “non spaventare gli americani”.
Boris Johnson e le difficoltà del Regno Unito
Un altro scettico della prima ora è stato Boris Johnson. Le sue politiche di contrasto alla pandemia in Regno Unito, in ogni caso, restano oggetto di discussione anche in questi giorni. All’inizio dell’emergenza, il premier britannico aveva auspicato di evitare il lockdown e produrre una sorta di “immunità di gregge”. Parole che avevano scatenato le critiche non solo all’interno del Regno, ma anche da parte della comunità internazionale. Con l’aumento vertiginoso dei contagi a marzo, però, aveva dovuto fare marcia indietro e imporre quarantena e chiusure. Ciò, però, non è bastato ad evitare che egli stesso si ammalasse di Covid-19. Un decorso tra l’altro molto difficile, che lo ha visto passare dalla terapia intensiva prima del lento recupero e della completa guarigione.
Tuttavia, il suo atteggiamento non manca ancor oggi di suscitare polemiche. Recentemente Johnson ha discusso l’utilità del sistema di test per monitorare lo sviluppo della pandemia in Gran Bretagna e si è lasciato andare a dichiarazioni non proprio lusinghiere nei confronti di Italia e Germania, sostenendo che in Regno Unito il numero dei contagi giornalieri è più alto perché “a differenza degli altri Paesi, i britannici amano la libertà”.
Bolsonaro e la “piccola influenza”
Anche il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, rientra nel novero dei leader mondiali che prima hanno sottovalutato il virus e poi ne sono stati colpiti. Nonostante un impatto brutale sin da subito, soprattutto nelle zone più povere del Paese, il presidente brasiliano parlava di “piccola influenza”.
A luglio, però, è risultato positivo, con decorso durato venti giorni e sintomi come febbre alta e problemi respiratori nella prima fase della malattia. Dopo la guarigione, l’atteggiamento di Bolsonaro si è fatto più sobrio e, almeno davanti al pubblico, il capo dello Stato brasiliano ha evitato di sminuire ulteriormente gli effetti della pandemia. Il Brasile, in ogni caso, resta il terzo paese più colpito al mondo dal coronavirus, dietro Stati Uniti e India, con oltre 4 milioni e 800mila contagi e circa 145mila decessi.