Sono passati 10 anni dal 17 dicembre 2010, il giorno in cui il venditore ambulante tunisino Mohamed Bouazizi si diede fuoco in segno di protesta nei confronti delle condizioni economiche del Paese e della vessazioni della polizia. Fu quel gesto disperato a dare il via al moto di ribellione noto come primavera araba. Nel corso di una serie di proteste chiamate rivoluzione dei Gelsomini (o rivoluzione tunisina) migliaia di persone scesero in piazza per opporsi alla corruzione, alla fame (causata anche dall’aumento del prezzo dei generi alimentari), alla povertà e all’assenza di libertà individuali. Dopo aver infiammato la Tunisia, le proteste si propagarono in breve tempo in Paesi come l’Egitto, lo Yemen, la Libia, l’Iraq, il Gibuti, la Giordania, il Bahrein e l’Algeria.
Le conseguenze della primavera araba in Tunisia
Le proteste portarono con sé dei cambiamenti importanti. Tre capi di Stato, Zine El-Abidine Ben Ali, Hosni Mubarak e Abdullah Saleh, vennero uccisi o costretti a fuggire o dimettersi. In Libia, i ribelli uccisero e catturarono il dittatore Mu’ammar Gheddafi. La primavera araba ha aiutato la Tunisia a muovere dei passi importanti sul piano della democrazia e delle libertà individuali, ma ancora oggi, a dieci anni di distanza, i problemi da risolvere restano numerosi. Nelle piazze non è raro trovare persone che protestano, chiedendo a gran voce maggiori diritti economici e sociali e denunciando le violenze delle forze dell’ordine, che non si sono mai fermate. Il Paese è anche alle prese con una crisi economica, resa ancor più grave dall’emergenza coronavirus.
Cos’è cambiato negli altri Paesi?
La Tunisia è l’unico Paese che in seguito alla primavera araba ha intrapreso la strada della democrazia (seppur con qualche difficoltà). In Egitto, nonostante le dimissioni di Hosni Mubarak nel 2011, la situazione è rimasta simile a quella di dieci anni fa. Sotto la guida del generale Abdel Fattah al-Sisi, salito al potere l’8 giugno 2014, il Paese sta vivendo l’ennesima dittatura militare e l’apertura verso la democrazia sembra ancora un miraggio lontano. La Libia è tutt’ora martoriata dalle divisioni interne causate dalla guerra civile scoppiata nel 2014. La presenza di due governi rivali, uno con sede a Tobruch e l’altro a Tripoli, ha creato instabilità, rendendo impossibile trovare una precisa identità nazionale. Negli ultimi anni, lo Yemen è diventato il campo di battaglia dello scontro tra sunniti e sciiti, che ha impoverito il Paese. Sono circa 30 milioni le persone costrette ad affidarsi agli aiuti umanitari per sopravvivere.
La situazione in Siria
In Siria, le conseguenze della primavera araba sono state tragiche. Le proteste non hanno portato alla sperata apertura verso la democrazia, ma a una sanguinosa guerra civile, tutt’ora in corso. Le fazioni coinvolte sono numerose, così come i Paesi stranieri che hanno scelto di dare il proprio sostengo al governo di Damasco (Russia e Iran, per esempio) o alle forze ribelli (tra questi è possibile elencare gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia). L’impatto socio-economico del conflitto è stato disastroso. Le disuguaglianze all’interno della popolazione sono in costante aumento, così come la disoccupazione.