Coronavirus, Wuhan: la battaglia legale dei parenti delle vittime

Sono passati oltre nove mesi dall’esplosione dell’epidemia di coronavirus (poi dichiarata pandemia dall’Oms) nella città di Wuhan, in Cina. La situazione, nel capoluogo della provincia dell’Hubei, è lentamente tornata alla normalità ma i parenti delle vittime, dopo aver raccolto documenti e testimonianze in questi mesi, hanno deciso di denunciare le autorità locali. L’accusa non è solo quella di aver nascosto, all’inizio, le conseguenze dell’epidemia, ma anche di aver saputo del virus diverse settimane prima che si sviluppassero i primi focolai. La battaglia legale, però, non è affatto semplice.

La storia di Hai Zhang, autore della denuncia

La provinca dello Hubei è stata la più colpita in Cina, con 4.512 decessi e circa 70mila casi di Covid-19. Il ferreo lockdown a Wuhan è durato dal 23 gennaio all’8 aprile. La denuncia contro le autorità locali è partita da un privato cittadino di Wuhan, Hai Zhang, il cui padre, ricoverato per un intervento ortopedico il 23 gennaio, ha contratto il Covid-19 in ospedale morendo nel giro di pochi giorni.

“Ogni giorno stava sempre peggio – ha spiegato Hai a The Independent -, l’ospedale gli ha fatto fare un test molecolare solo il 29 gennaio, quasi una settimana dopo i primi sintomi del Covid-19. Il 30 gennaio ha saputo di essere positivo, il 1° febbraio è morto”.

Il tentativo naufragato di ‘class action’

Prima di intraprendere da solo l’azione legale, Hai Zhang ha chiesto aiuto a Yang Zhanqing, un attivista cinese residente negli Stati Uniti, che ha iniziato a raccogliere altre adesioni, provando una sorta di ‘class action’. “Abbiamo creato un gruppo su WeChat, raccogliendo più di 40 persone che pretendono giustizia per i loro familiari scomparsi a causa della pandemia” ha confermato Yang al portale britannico.

“Però, la polizia locale ha subito iniziato a minacciare chi voleva condividere dettagli a riguardo sui social, chi voleva contattare gli avvocati, chi voleva parlare con me ha aggiunto l’attivista, il cui tentativo di coordinare l’azione contro le autorità cinesi è naufragato sul nascere.

Hai non si perde d’animo: doppia azione legale

Hai ha dichiarato che la polizia lo ha interrogato diverse volte e che si è visto rimuovere forzatamente i suoi profili social. Però non si è voluto arrendere e ha presentato comunque denuncia contro l’amministrazione di Wuhan, la provincia dello Hubei e le autorità sanitarie locali. Chiede un risarcimento di 2 milioni di yuan, circa 250mila euro.

La prima denuncia, però, non ha avuto fortuna. Pochi giorni dopo aver spedito il documento al tribunale di Wuhan, un impiegato della struttura ha chiamato Hai dicendogli che la denuncia “non rispettava i criteri necessari per aprire un’udienza”. “Non si sono nemmeno sprecati ad inviarmi una copia formale della notifica di respinta – ha spiegato Hai -. Il mio avvocato ha detto che il loro è un comportamento in violazione con le leggi in vigore in Cina“.

Hai, però, non si è perso d’animo: ha inviato una seconda denuncia all’Alta Corte Popolare dello Hubei a metà agosto e finora sostiene di non aver ricevuto risposta. Con lui, altre quattro persone hanno presentato azione legale contro gli stessi destinatari, chiedendo a loro volta un risarcimento.

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