La guerra in Ucraina potrebbe ridurre la crescita economica globale di oltre un punto percentuale nel primo anno dall’inizio dell’invasione. È quanto emerge da un nuovo report pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). L’invasione potrebbe anche causare una profonda recessione in Russia e portare a un aumento dell’inflazione del 2,5%. Di fronte a questa prospettiva, l’Ocse chiede degli interventi mirati per aiutare le fasce di reddito più basse.
Alcuni prezzi erano già in aumento, ma in seguito all’inizio dell’invasione la situazione è ulteriormente peggiorata. I costi del petrolio, del gas, dei metalli e del nitrato di ammonio, un composto chimico usato come fertilizzante, hanno subito un’impennata vertiginosa. Dopotutto, la Russia e l’Ucraina sono grandi produttrici di materie prime e il loro conflitto sta avendo delle notevoli ripercussioni sull’economia. L’ultimo rapporto dell’Ocse indica che il prezzo del petrolio resterà più alto del normale di un terzo, quello del gas dell’85% e quello del grano del 90%. L’impatto sarà maggiore sui Paesi europei, che dipendono maggiormente dalla Russia e l’Ucraina per le forniture energetiche e alimentari.
L’Ocse sottolinea che i Paesi “che confinano con la Russia o l’Ucraina” subiranno di più le conseguenze dell’invasione, ma anche per le nazioni in via di sviluppo l’impatto sarà tutt’altro che insignificante. Per l’organizzazione, i governi potrebbero ridurre i danni con delle strategie fiscali mirate. Il rapporto suggerisce, per esempio, l’introduzione di aliquote fiscali più basse e massimali di prezzo con cui ridurre il costo dell’energia e avvantaggiare tutte le famiglie, a prescindere dal reddito di cui dispongono.
Inoltre, per attutire il colpo dell’aumento dei prezzi dell’energia potrebbe essere necessario diversificare le fonti energetiche e aumentare l’efficienza dove possibile. Chiaramente, uno stop alle esportazioni di energia dalla Russia porterebbe con sé “un potenziale rischio economico” il cui impatto sarebbe difficile da quantificare. Ciò dipenderebbe soprattutto dalla difficoltà nel sostituire le forniture ai mercati mondiali nel breve termine.
Quello che emerge dal rapporto è che nessuno Stato sta cercando davvero di dire addio…
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