L’ex premier italiano ha messo in evidenza le debolezze strutturali del mercato interno europeo, affermando che i governi hanno fatto ben pochi sforzi per completare la sua integrazione
L’ex presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, ha recentemente sollevato preoccupazioni significative riguardo alla direzione economica dell’Unione europea. Durante il Simposio Annuale del Centre for Economic Policy Research che si è tenuto a Parigi, Draghi ha messo in evidenza le debolezze strutturali del mercato interno europeo, affermando che i governi hanno fatto ben pochi sforzi per completare la sua integrazione. La sua analisi tocca vari aspetti critici, tra cui la stagnazione dei salari, la bassa crescita della produttività e la necessità urgente di riforme strutturali.
Draghi ha iniziato il suo intervento esaminando i cambiamenti economici che hanno avuto luogo a partire dalla metà degli anni ’90. Ha identificato due grandi shock che hanno influenzato la crescita dell’Eurozona: lo shock tecnologico causato dall’avvento di Internet e la crisi finanziaria globale, seguita dalla crisi del debito sovrano. Questi eventi hanno causato un cambiamento fondamentale nell’economia europea, portando a investimenti stagnanti e a una politica fiscale restrittiva. La conseguenza è stata una domanda interna in calo, che ha raggiunto livelli ben al di sotto della media delle economie avanzate, ampliando il divario rispetto agli Stati Uniti.
Un aspetto cruciale della sua analisi è la tolleranza delle politiche europee nei confronti di una bassa crescita salariale, giustificata dall’idea di aumentare la competitività esterna. Draghi ha sottolineato come questa strategia abbia aggravato un ciclo di reddito e consumo debole. Nonostante ci fosse spazio fiscale per intervenire e stimolare la domanda interna, i governi europei hanno scelto di non utilizzare questa opportunità, rimanendo bloccati in una costellazione economica che favorisce l’esportazione di capitali e il mantenimento di livelli salariali bassi. Questo approccio, secondo Draghi, non è più sostenibile nel lungo termine.
Oltre ai problemi interni, Draghi ha evidenziato un cambiamento significativo nella posizione economica della Cina e degli Stati Uniti. Ha avvertito che il mercato cinese sta diventando meno favorevole per i produttori europei mentre la crescita rallenta e la competitività locale aumenta. Inoltre, ha notato come l’amministrazione statunitense sembri riluttante a fungere da acquirente di ultima istanza per l’Europa, un ruolo che storicamente ha contribuito a stabilizzare le economie in difficoltà.
Per affrontare queste sfide, Draghi ha sollecitato un cambiamento sia nelle politiche strutturali che in quelle macroeconomiche. Ha spiegato che le riforme di mercato devono essere accompagnate da politiche macroeconomiche efficaci per promuovere una crescita sostenibile. Un aspetto interessante del suo intervento è la sua reinterpretazione delle riforme strutturali: mentre in passato si sono concentrate sulla flessibilità del mercato del lavoro e sulla compressione dei salari, oggi dovrebbero puntare a migliorare la produttività e a riqualificare la forza lavoro senza disperdere posti di lavoro.
Draghi ha sottolineato che il mercato unico europeo e il mercato dei capitali sono fondamentali per sostenere la crescita della produttività.
La realizzazione di riforme strutturali in questi ambiti rappresenterebbe un passo decisivo verso un cambiamento positivo. Tuttavia, ha avvertito che le riforme richiederanno tempo per mostrare risultati tangibili, e nel frattempo è necessario utilizzare in modo più efficiente le politiche macroeconomiche.
In particolare, Draghi ha discusso l’idea di un debito comune nell’Unione Europea. Secondo lui, se l’Europa potesse emettere debito comune, si creerebbe ulteriore spazio fiscale per contrastare le fasi di crescita sotto il potenziale. Tuttavia, ha sottolineato che questa strada non può essere intrapresa senza una trasformazione strutturale dei mercati. In assenza di un debito comune, Draghi ha esortato a concentrarsi sul miglioramento della composizione della politica fiscale, aumentando gli investimenti pubblici e promuovendo la coordinazione tra gli Stati membri.
La Banca Centrale Europea stima che se tutti i paesi membri sfruttassero appieno il periodo di aggiustamento di sette anni, sarebbero disponibili ulteriori 700 miliardi di euro per investimenti pubblici. Questo rappresenterebbe una porzione significativa delle necessità di investimento richieste per affrontare le sfide future dell’Europa, tra cui la transizione energetica, la digitalizzazione e la ricerca e sviluppo.
Draghi ha concluso il suo intervento con una nota di urgenza, avvertendo che se l’Unione europea non affronta questi problemi in modo proattivo, potrebbe trovarsi di fronte a un futuro di stagnazione economica. Ha messo in guardia contro l’idea che l’Europa possa continuare a prosperare senza affrontare le proprie sfide interne e mantenere i valori fondamentali che la contraddistinguono. La lotta per mantenere una società inclusiva, sicura e sostenibile richiederà un impegno collettivo e riforme audaci.
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