Sono passati quasi tre anni dell’entrata in vigore del Reddito di Cittadinanza, introdotto con il decreto legge 28 gennaio 2019. Una misura per contrastare la povertà, ma anche uno strumento utile per il reinserimento nel mondo del lavoro.
Il Reddito di Cittadinanza non ha abolito la povertà in Italia
Ad oggi, però, secondo quanto emerso dal sesto Rapporto sulle Politiche contro la povertà, con un monitoraggio focalizzato proprio sul Reddito di Cittadinanza, condotto dalla Caritas, di fatto il Reddito di Cittadinanza non ha “abolito la povertà” come auspicava l’attuale ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.
Secondo quanto emerso durante la presentazione del Rapporto, più della metà dei poveri in Italia, ovvero il 56%, non usufruisce del Reddito di Cittadinanza. Inoltre, un terzo dei beneficiari del RdC non è povero.
I dati riportati da Caritas mostrano anche in quali territori risiedono le famiglie escluse: prevalentemente al Nord. Inoltre, spesso nel nucleo familiare sono anche presenti dei minori. Ma non solo. Perché ad essere tra le maggiori escluse dal RdC sono le famiglie in cui è presente un richiedente straniero o quelle che detengono un patrimonio mobiliare superiore alla soglia consentita. Nel complesso, al Nord il numero di famiglie che usufruiscono del Reddito di Cittadinanza è pari al 37%. La cifra sale al Centro e al Sud, dove a utilizzarlo sono rispettivamente il 69% e il 95%.
Le proposte di Caritas
Nel rapporto emerge come il Reddito di Cittadinanza rimanga comunque uno “strumento di promozione umana che può liberare dal giogo della privazione economica e della mancanza di opportunità”.
Ad oggi, però, secondo Caritas la strada da percorrere per un’equiparazione del RdC, per riuscire a raggiungere tutti coloro che potrebbero realmente usufruirne, è ancora lunga. Soprattutto, continuano a persistere problematiche per quanto riguarda il reinserimento dei richiedenti del Reddito di Cittadinanza dal punto di vista lavorativo.
Caritas ha così mosso tre proposte volte a rafforzare il Reddito di Cittadinanza. La prima riguarda la promozione di una conoscenza più competente della povertà, che dovrebbe partire da un’analisi più accurata delle politiche di contrasto. In secondo luogo, andrebbero promossi in maniera più adeguata i percorsi per l’accesso alle misure e, infine, andrebbero facilitati i rapporti tra coloro che lavorano sul contrasto alla povertà nel nostro Paese.