Mentre l’inflazione sta erodendo il potere di acquisto, la cosiddetta “shrinkflation” ha rimpicciolito le confezioni a parità di prezzo. Risultato, il carrello della spesa degli italiani è sempre più vuoto.
Fenomeno meno noto rispetto all’impennata dei prezzi che tutti sperimentiamo al supermercato, la shrinkflation (crasi tra le parole “shrink”, restrigere, e ”inflation”) è una tecnica di marketing lecita ma insidiosa su cui non a caso l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha acceso un faro, aprendo un’indagine tuttora in corso per accertare eventuali pratiche commerciali scorrette dopo le numerose segnalazioni arrivate da stampa e associazioni dei consumatori.
L’Antitrust è “ben al corrente” e “sta monitorando il fenomeno”, ha detto nel maggio scorso il direttore generale Giovanni Calabrò, audito dalla Commissione d’inchiesta sulla tutela dei consumatori e degli utenti.
Come ha evidenziato il numero uno dell’Agcm, tutto ruota attorno alla trasparenza nei confronti del consumatore. “Ciò che rileva non è la riduzione in sé della quantità di prodotto contenuta nella confezione – decisione aziendale prima facie legittima – quanto la trasparenza di tale modifica nei confronti del consumatore”, ha spiegato Calabrò. “In questo senso condotte quali la diminuzione della quantità di prodotto a parità di dimensioni della confezione, in assenza di un’adeguata avvertenza sull’etichetta frontale, potrebbero essere ritenuti meritevoli di approfondimento”.
La strategia commerciale riguarda soprattutto generi alimentari e prodotti per la cura della persona e della casa. Mentre la quantità di prodotto all’interno delle confezioni diminuisce, il prezzo resta sostanzialmente invariato quando non lievita. Non è un fenomeno nuovo ma non tutti ne sono coscienti o vi prestano attenzione. In questo caso l’arma più efficace nelle mani del consumatore è l’acquisto consapevole con la lettura attenta degli involucri oltreché delle etichette.
A denunciare il fenomeno è stata di recente tra gli altri Altroconsumo, che ha condotto un’indagine tra gli scaffali dei supermercati. Tra i marchi finiti sotto la lente dell’associazione, figurano prodotti come biscotti, cereali, tonno in scatola, formaggio spalmabile, detersivi e fazzoletti usa e getta.
Secondo l’associazione si tratta di “uno stratagemma che viene utilizzato per aumentare i prezzi in maniera poco trasparente, senza che un consumatore poco attento se ne accorga”, visto che “in tantissimi casi questi cambiamenti rischiano di passare inosservati”.
Per difendersi da pratiche commerciali scorrette l’associazione raccomanda “attenzione”. E spiega: “Quando siamo al supermercato è sempre bene valutare il formato del prodotto che stiamo per acquistare, cioè il peso o il volume, e controllare il prezzo al kg o al litro, così da capire effettivamente quanto stiamo spendendo in proporzione alla quantità di prodotto che mettiamo nel carrello. Le promozioni speciali o i pacchi in formato famiglia possono essere un’alternativa per chi vuole risparmiare, ma è sempre bene valutarne l’effettiva convenienza”.
Secondo Consumerismo no profit la shrinkflation riduce il potere di acquisto fino al 30%. “Si tratta di un trucchetto ‘svuota carrelli’ che consente enormi guadagni alle aziende produttrici ma di fatto svuota le tasche dei cittadini”.
In tempi di caro vita con l’impennata dei prezzi, il fenomeno della shrinkflation rischia di alleggerire ulteriormente il portafogli di molti italiani. Secondo gli ultimi dati Istat, gli italiani sono costretti a spendere di più per comprare meno. Le vendite al dettaglio a maggio, rispetto a un anno prima, risultano in rialzo sotto il profilo del valore (+3%) ma non del volume (-4,7%). A fare la parte del leone i generi alimentari.
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